Il fastidio dello sguardo

In autobus non so mai dove guardare. Se ho posto-finestrino, guardo fuori ed è finita lì e se c’è un bambino a bordo anche: sorrisi, ciaociao, cucù; ma se sono lato-corridoio è un problema.

Se giro la testa a est, la vicina dopo un po’ si volta con sguardo interrogativo, “cos’ha da guardare?”. Vede che ho gli occhi sperduti nel vuoto e, rassicurata, torna a spennellare lieve sul suo smartphone. Per prudenza sposto la direzione verso sud-est dove una coetanea cerca cerca cerca uffeggiando nella sua borsetta, ma poi guarda se la guardo.

A sud c’è uno seduto in posizione contraria , costretto a fissare me che sono il suo orizzonte.

A sud-ovest : stessa reazione. Due ragazze chiacchierano tra loro in dialetto, una mi dà le spalle, l’altra ogni tanto controlla se le osservo e dunque ascolto.

L’ obtorto collo a nord-ovest produce analoghi risultati anche se si tratta di indianino sikh con turbante azzurro, aggrappato alla macchinetta obliteratrice.

Alzo gli occhi al cielo e osservo il soffitto, ma mi sento tanto maria goretti e decido che la cosa migliore, forse, è la postura del “Pensatore” di Rodin, con capo chino sostenuto dal dorso della mano destra.

Sperando che l’autobus faccia presto penso a quanto timidi siamo tutti per infastidirci, fosse pur vero, di uno sguardo.

 

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