inizia con una minuscola e già questo dovrebbe far suonare un campanello d’allarme, far riflettere: “riverrun past Eve and Adam’s from swerve of shore...”. Poi cercate “riverrun“, la prima parola, e non la trovate sul vocabolario.
I traduttori che si sono cimentati nell’ardua impresa di tradurre il Finnegans Wake, che oggi compie ottant’anni, la hanno trasposta in “corso del fiume” (Wilcock), “filafiume” (Burgess), “fluidofiume” (Schenoni). Perché se l’ultima opera di James Joyce è difficile, quasi impossibile da leggere, tradurla è un’impresa tanto affascinante quanto complessa. Il testo è un equilibrio tra la narrazione, la musicalità ed i riferimenti. Tornando alla prima parola un traduttore deve scoprirne il significato ma mantenere il ritmo dell’allitterazione. Raccontano Fabio Pedone ed Enrico Terrinoni, che si sono cimentati nel tradurre in italiano gli ultimi capitoli che il ritmo era di due righe al giorno. Non crediate però che sia un semplice gioco di enigmistica, sempre di letteratura, e di livello immenso, si tratta. Quando dissero a Joyce che il suo libro avrebbe fatto discutere per i successivi 200 anni disse: «È quello che voglio».
Ci sono dieci parole di 100 lettere, anzi nove di 100 ed una di 101, riferimento a Le Mille e Una Notte, ci sono elenchi lunghissimi di parole, ci sono parole che derivano da 40 lingue diverse. Il Finnegans Wake è un universo e ad ogni parola si apre un ulteriore infinito. È qualcosa di magnetico, forse un gioco cerebrale, ma che apre a mondi sconosciuti. È un’enciclopedia, ci trovate tutto. A proposito di “riverrun”, visto che va di moda in questo momento, Riverrun è il castello di Game Of Thrones, perché la complessità del libro consente di trovarci i riferimenti al futuro che desiderate trovar raccontato, quasi un Nostradamus intellettuale. Ci trovate la parola “googling”, ci trovate la previsione del trionfo di Conor McGregor, famoso pugile dublinese.
Se qualcuno vi dice che lo ha letto tutto diffidate, o è un genio, ed allora non riuscirete a seguirlo, o è un millantatore. Se l’Ulisse di Joyce, è uno dei libri più presenti nelle librerie ma anche più abbandonato il Finnegans Wake di solito viene tenuto lontano sin dall’inizio o lasciato dopo la prima riga in caso di incauto acquisto. Se l’Ulisse, come già raccontato, per non perdere la sua bellezza, può venir letto in maniera non lineare, per il Finnegans Wake si può aprire una pagina, leggere una frase, una parola e perdercisi. Che poi una prima riga non c’è perché come l’universo il Finnegans Wake non ha un inizio e non ha una fine, è un libro circolare, sin dal titolo. Wake significa risveglio ma anche veglia funebre che nella vecchia ballata da cui il libro prende il titolo è la veglia di una persona che era solo apparentemente morta.
E allora l’ultima frase del Finnegans Wake, “A way a lone a last a loved a long the” oltre ad essere una frase splendida, poetica, non ha un punto finale e si lega alla prima frase che
Fulvio Rogantin – Immagine di Aglaja