Ti banno io, mi banni tu: perché hai detto che la Raggi è incapace, perché ho scritto che Salvini è un impresario della paura, perché proclami che Renzi è arrogante. Poi tiriamo tutti e due un sospiro di sollievo: finalmente una bacheca “pulita”, vedo solo chi la pensa come me, al diavolo gli altri.
Parte il like “in automatico”, senza nemmeno leggere, messo sulla fiducia sotto il post dell’amico (si fa per dire) di Facebook che condivide le nostre posizioni politiche.
E’ l’effetto camera dell’eco, un mondo magico dove tutti ci dicono di sì, nessuno ci contraddice e andiamo a letto soddisfatti, certi di essere nel giusto; e alla camera dell’eco si accompagna il cosiddetto effetto tunnel, ovvero l’impossibilità di imboccare direzioni diverse da quelle che già si stanno percorrendo.
Secondo gli studiosi di scienze cognitive, raggrupparsi insieme a chi la pensa come noi, o si adegua ai nostri stessi comportamenti, è una caratteristica umana ancestrale che attiene alla psicologia di base, e che è migrata pari pari nei social.
Stando a un recente studio britannico, il 73 per cento dei sostenitori dell’Ukip, il partito sovranista di Farage, dichiarano di rilanciare post attinenti ai punti di vista del loro partito, mentre solo il 32 per cento “sposano” i post dei conservatori, che pure non sono lontani dalle loro posizioni, almeno in materia di Brexit. In base allo stesso ragionamento, i supporter di un partito quasi mai condividono i post degli avversari politici.
Dalla camera dell’eco discende direttamente il meccanismo dei famigerati algoritmi, da Google a Facebook, che propongono scelte in linea con quelle che abitualmente pratichiamo, infilandoci in una sorta di bolla dentro la quale tutto sembra tenersi: ma si tratta di un castello di carte, il mondo reale resta in agguato là fuori.
Conseguenza inevitabile della camera dell’eco è la disinformazione: chi vive nella bolla non ammette contraddittorio né tanto meno dibattito, non ha nessuna intenzione di capire o scoprire se quello che dice l’interlocutore “alieno” è sostenibile, ma si limita alla mera contrapposizione di opinioni, spesso violenta, con buona pace del fact-checking.
La battaglia si combatte ormai fra i troll di professione, diventati una figura imprescindibile della fauna social, veri protagonisti delle campagne elettorali on line, e la versione moderna dei tradizionali agit-prop, quelli che discutevano nei dibattiti pubblici e che oggi sono in gran parte anziani (si sa che i giovani stanno da tempo abbandonando Facebook in favore dei più versatili Instagram e Snapchat).
In effetti Facebook, questo “giardino recintato” che assorbe gran parte della socialità quotidiana, sembra aver raggiunto il massimo della diffusione: a giugno ben due miliardi e mezzo di persone hanno utilizzato almeno una delle app del gruppo (Facebook, Instagram, WhatsApp, Messenger), ma in Italia il 58% degli utenti ha oggi piu’ di 35 anni; nella fascia 13-29 anni si sono persi due milioni di account, mentre gli ultracinquantacinquenni hanno fatto registrare un balzo in avanti del 17% (fonte Audiweb).