Lei non aveva rinunciato al dolce perché era molto golosa e al tempo stesso non sopportava buttare il cibo pagato; lui aveva cercato di isolare entrambi dalla confusione senza riuscirci. La conversazione si era tradotta in sguardi attoniti, sorrisi di convenienza agli altri, occhiate di intesa tra loro due: «Andiamo via prima possibile». Ancora non si capacitavano di come fossero finiti lì: un posto sperduto in mezzo alla campagna brianzola, c’era voluto il navigatore per trovarlo e avevano dovuto lasciare il camper a qualche centinaio di metri, con il loro cane ad aspettarli perché non poteva entrare. Per lui anche quello era casa, però… lasciarlo solo proprio quella sera, non avrebbero voluto, eppure si erano convinti a vicenda di voler festeggiare San Valentino al ristorante perché pareva brutto rifiutare l’invito rivolto da una coppia di amici.
«Per una volta…» avevano detto quasi in sincrono.
Per una volta potevano agghindarsi un po’ anche loro; un abito elegante e una scarpa con il tacco, un completo giacca e cravatta… ma sì, dai. «Non sarà troppo elegante?» aveva chiesto lei non conoscendo il posto. Non si è mai troppo eleganti, aveva considerato tra sé mentre suo marito le diceva che era bellissima. Attraversata un’aia che aveva lasciato ben sperare, erano entrati in una insospettabile sala da banchetti: enorme, desolante per gli addobbi posticci più che per l’arredamento di terz’ordine. Le tavolate disposte per la lunga, come una mensa aziendale, si erano riempite alla svelta di commensali di vario genere ma tutti chiassosi oltre misura e intenzionati ad alzare il volume con un po’ di vino in corpo.
Loro due avevano seguito il cameriere e si erano seduti dove indicato, in attesa della coppia di amici arrivata di lì a pochissimo. Lei aveva aperto il menù: fisso, quattro portate, acqua, vino, amaro o caffè. Vabbè.
Non erano stati di compagnia; non si riusciva neppure a scambiare una parola per il vocìo generale e proprio non vedevano l’ora di andarsene. Avevano lasciato amaro e caffè alla coppia di amici e raggiunto il loro cane sul camper.
Oh, finalmente!
Così com’era lui mise in moto. Lei si infilò il pigiama, un maglione comodo e caldo, coprì i piedi con un paio di calzettoni e si acciambellò al posto guida con il cane in braccio per restituirgli il tempo dei baci perduti.
Trovarono posto nel solito parcheggio di Colico, in riva al lago.
Il loro cane sapeva dov’erano e si sbrigò, felice per la scelta della destinazione, speranzoso in un giorno dopo zeppo di corse felici.
Li svegliò al mattino un silenzio terso: aprirono la finestra sull’acqua increspata dalla brezza secca e pulita. Lui preparò la colazione, lei pensò alle necessità del cane, uscirono poco dopo imbacuccati negli abiti abituali, pratici e comodi. Si incamminarono lungo la sponda del lago. Non c’era nessuno. Potevano lasciare il cane libero di correre e annusare e tornare da loro, per correre di nuovo in esplorazione, intraprendente com’era.
La serata precedente non era più nemmeno un ricordo per lui.
Per loro, invece, era stata la nuova conferma di quanto non fossero tagliati per le feste comandate, per di più male organizzate, e di quanto davvero desideravano: svegliarsi insieme in un posto tranquillo, senza orpelli, andare per mano chiacchierando piano tra loro, sovrapporre i loro palmi sulla testa del loro cane. Così fu, da allora in poi.
Così è, anche oggi, il giorno dopo.
