Era il 23 aprile 2316, e John vagava da tre giorni, completamente perso, nella caotica città dove un’interferenza nel suo trasponder metacinetico lo aveva sbalzato. Sceso dal veicolo, l’aveva chiuso con un gesto automatico. Stava per marcare le coordinate, ma il navigatore tridimensionale era rimasto dentro. Cercò un punto di riferimento, vide un bar con un’antica insegna a led, digitò il nome e il taccuino elettronico si spense. Sarebbe bastata una semplice batteria al sultanio, ma nessuno pareva conoscerne l’esistenza. Trovò un fast food, ma non ricordava il pin della carta di credito. Tutti i suoi codici erano custoditi nel taccuino spento, anche la password a trentadue caratteri alfanumerici per richiamare il veicolo. Sbagliò due volte e si fermò. Non aveva mai ritirato il codice per lo sblocco di emergenza, chiamato chissà perché “del sogno di mezza estate”. Niente, non ricordava niente. Solo che era un maestro delle scuole serali, in viaggio da New York a Dubai, e che il suo nick era John Wayne, come il leggendario eroe della frontiera americana. Tempi remoti, si scriveva con le mani e si usava la carta. Quelle di credito erano di plastica e si usavano firmando scontrini con bastoncini a inchiostro. C’erano poi altri strani biglietti con su la faccia di presidenti morti, indispensabili per comprare le cose. A rimanere senza si rischiava la fame. Come lui adesso. Era sfinito, vagava per vicoli strettissimi tra vecchi palazzi cablati con strani fili, da cui pendevano calzini e biancheria. Gli si annebbiò la vista e prese a vacillare. Una mano lo afferrò e, senza capire come, si trovò su una sedia in un antro pieno di gente vociante. In un angolo, un vecchio maneggiava della poltiglia bianca su una superficie di pietra rigata di nero, come la pelle di un brutto animale. Poi la metteva in una specie di forno crematorio, dove bruciava uno strano materiale. Certamente nulla di commestibile. Stava per svenire, quando un omone cercò di infilargli un pezzo di quella roba calda in bocca. Tentò invano di resistere. L’energumeno sorrideva e parlava una lingua sconosciuta. Capì solo «Margherita». Non ne aveva mai sentito parlare, ma era buona. Ne prese con più convinzione un altro pezzo, biascicando qualcosa mentre lo imboccavano col resto. Un ragazzo portò un vecchio traduttore a turlupinofoni. Chiese una batteria al sultanio, gli portarono due crocchette di patate.
«Non posso pagare. Ho i codici nel veicolo di fronte al bar del Porto a via Verdi…. O bar Verdi a via del Porto, non ricordo bene». Il traduttore non seppe rendere il senso di Futtetenne. Accettò di buon grado un liquido rosso che gli versavano da una bottiglia di vetro antico con su scritto Lettere.
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