Era uno dei più bei piroscafi dell’epoca, roba di lusso. Poi scoppiò la guerra, servì per trasporto profughi e da nave ospedale. Ma di vernice bianca ce n’era poca, e così solo i fumaioli divennero le insegne di non belligeranza. Poco visibili dal cielo. Alla fine dell’aprile 1945 l’esercito tedesco era in rotta. Le SS requisirono la nave. Belve ferite a morte ancora capaci di azzannare, ammassarono nella baia di Lubecca migliaia di detenuti portati via dai campi di sterminio. Venivano da Neuengamme, Fürstengrube e anche da più lontano. Furono stipati come bestie da macello sulla Cap Arcona, le stive chiuse, probabilmente la nave fu minata per affondarla. Non fu necessario. Dopo cinque giorni, il 3 maggio del 1945, gli aerei della RAF colpirono la Cap Arcona con missili incendiari e bombe da 500 libre. I piloti non erano stati informati, e scambiarono i prigionieri per soldati e gerarchi nazisti in fuga. La Croce Rossa sostenne di aver avvisato gli alleati. Il dossier su quel bombardamento è stato secretato per cento anni. La baia si trasformò in un inferno di fiamme e detriti. Qualche centinaio di prigionieri si lanciò dalle murate, altre più di venti metri, nel gelido mare di Lubecca. Dai pescherecci e da una torpediniera i tedeschi spazzavano le acque con le mitragliatrici, verso qualunque cosa somigliasse a un’uniforme a righe. A riva le SS attendevano i prigionieri scampati, mitragliavano le onde che frangevano sulla battigia. Qualcuno riuscì a sopravvivere aggrappato ai rottami fino a notte, trovando alla fine salvezza e rifugio presso qualche civile che in tutto quell’orrore era riuscito a rimanere umano. Il giorno dopo l’Armata Tedesca del Nord si arrendeva senza condizioni al generale Montgomery.
Nella baia di Lubecca rimanevano migliaia di cadaveri, forse ottomila o più, in quello che fu uno dei peggiori disastri navali della Storia, il più assurdo di tutti. Tra trent’anni, forse, sapremo la verità.