Per anni ho provato a far capire come si poteva scrivere Quagliarella sotto il “riservato” dei ristoranti: tempo sprecato. Poi è arrivato Fabio Quagliarella il bomber con un curriculum di tutto rispetto.
La signora Cairo, la first lady del Toro che aveva in forza il giocatore, frequentava la mia stessa palestra (molto chic) di una Milano importante. Secondo le mie abitudini mi presentai e lei d’istinto: «Lei,lo zio di Fabio, che ragazzo stupendo!» e mi dette un bacio che non era diretto allo zio, presunto.
Successe ancora che quando, per un cliente speciale, mi spinsi a Milanello (una volta casa Milan) per ritirare dei gadget di Shevchenko, poi desiderassi di prendere un caffe. La security mi sbarrò il passo. «Mi faccia parlare con un dirigente, sono Quagliarella». Poco dopo un signore con la cravatta gialla mi fece cerimonie e mi accompagnò allo splendido bar riservato alla squadra. Al commiato:«Mi saluti suo nipote, noi lo aspettiamo sempre».
Quando Fabio diventò giocatore della mia Juve col numero 27, compravo maglie, le firmavo e le donavo, che tempi.
Uno scugnizzo che ha frequentato la scuola di calcio nelle strade di Castellamare di Stabia, per ore e ore e adesso studia, a tavolino, portieri e difensori per batterli ancora. Un fisico sempre tirato a lucido e poche chiacchiere in campo e fuori. Ha fatto gol impossibili da quaranta metri o fantasiosi come il tacco segnato, a volo, al “suo” Napoli domenica scorsa, con la maglia della Sampdoria.
Signorilmente non gioisce mai quando segna alle sue ex squadre, e così, avendo indossato ben sette maglie diverse in carriera, esulta poco o niente. Guadagna uno stipendio niente male per un trentacinquenne onesto lavoratore del pallone, 2,5 milioni l’anno, se li merita proprio tutti.
Cosi ora, da quando lui è salito alla ribalta popolare del calcio, trovo sul tavolo prenotato, un “Quagliarella” che sembra scritto da un amanuense diplomato. Grazie Fabio!
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