Anni fa avevo una domanda ed ero al punto estremo di cottura. Così mi decisi: «Nonna, perché tieni una foto di Rodolfo Valentino in camera?». Il suo sorriso mi sorprese. «Tesoro, non è Rodolfo Valentino». Mistero. L’uomo nella foto in bianco e nero è della serie troppo brutalmente bello per essere vero, senz’altro un divo del cinema. Identico a Rodolfo Valentino. Ma non lo è. Cercai nella mia testa di ragazzina altre possibilità. Niente. Fissai mia nonna con sguardo disperato. Lei sorrise di nuovo: «È tuo nonno, bimba». Restai di sasso. Il profilo delicato e imperioso, le labbra sottili sotto la tesa ampia del cappello. Mio nonno. «Com’era bello», le sentii dire piano. E lo sguardo le tornò indietro a tanti anni prima.
Pochi mesi fa, di ritorno dalle vacanze estive, sono andata a trovarla: «Nonna, perché tieni una foto di Rodolfo Valentino in camera?», le ho detto scherzando. Lei ha sorriso, si è voltata a guardarlo e ha sospirato: «Com’era bello». Poi ha chiuso gli occhi e si è addormentata. Sono uscita in silenzio dalla stanza. Ho accostato la porta. E ho pensato che a novant’anni amare qualcuno che si è perduto a trenta deve essere una condanna.
Ma anche la più grande salvezza.