“Ma forse tutto nasce sul ciglio di una strada, mentre la notte, sempre uguale a se stessa, non lascia spazio ad alcuna speranza” (dalla quarta di copertina de Il nome della notte)
Il nome della notte (ExCogita editore) di Marco Speciale – dopo l’esordio con Prima dei titoli di coda che ha riscosso un meritatissimo successo di critica e di pubblico – in una sbrigativa catalogazione potrebbe essere definito un noir.
In realtà è molto di più: è un romanzo di ottimo impianto narrativo/descrittivo – attento all’indagine psicologica e sociale dei diversi attori della vicenda.
La trama si fonda su argomenti come immigrazione, sfruttamento e razzismo (crudelmente efficaci le pagine dedicate al traffico delle ragazzine nigeriane destinate a battere i marciapiedi, in una moderna versione della “tratta delle schiave”); temi all’ordine del giorno in un’Italia che appare sempre più intollerante e feroce verso quegli stessi stranieri che poi “usa”, come nel caso delle giovanissime prostitute di colore e dei loro italianissimi clienti.
La vicenda è ambientata a Monza, in un clima surriscaldato dalla xenofobia e dalla rabbia sociale, e si apre con l’omicidio di una di queste ragazze: il suo corpo viene rinvenuto orribilmente straziato.
Le indagini, che si muovono tra gruppi razzisti e mafie locali e di importazione, sono condotte da personaggi ben costruiti: una magistrata opportunista, la pm De Stefanis; un vicequestore meridionale, Caserta, corpulento, amante della famiglia e del buon cibo, che fa della propria normalità la sua forza; il suo assistente, lo smilzo e nervoso Martì.
La scrittura fluida e agile di Marco Speciale e il suo sguardo attento, che spazia dalle piccole ipocrisie della provincia ai grandi traffici internazionali, rendono questo libro più che godibile e lasciano nel lettore il desiderio di ritrovare presto il vicequestore Caserta e la sua sagace umanità in un altro romanzo dell’autore lombardo.