Tommaso ha quattordici mesi. Ha fatto progressi. Dice sempre papapà, ma articola anche un numero imprecisato di parole. Comprensibili, per ora, solo ai suoi coetanei, ad alcuni primati del Borneo e al piatto in cui mangia… da solo. Quando un quattordicimesenne mangia da solo – con le mani – una delle domande più comuni è: perché non esistono pavimenti autopulenti, che facciano sparire all’istante ciò che il piccolo energumeno decide di gettare per terra ogni volta che, pieno di fiducia mal riposta, decido di guardare nel mio piatto invece che nel suo? Oppure: perché ogni volta che torno in cucina dopo avergli offerto un piatto di pasta con il sugo mi sembra di arrivare sul set di un film di Tarantino? O ancora: dove avrà imparato a colpire con il palmo della mano il bicchiere a doppio manico per farlo scivolare – rovesciato – lungo il tavolo, come farebbe un cow boy ubriaco sul bancone di un saloon? Infine – si fa per dire – perché, se odia ogni tipo di berretto, gli piace da morire mettersi il piatto rovesciato sulla testa? Se qualcuno ha le risposte, me le dia… io intanto vado a comprare un mocio nuovo.