Prima di affrontare un’opera del compianto Cormac McCarthy – ormai lo sappiamo – tocca mettere da parte alcuni dei concetti, sani e indispensabili per una ragionata conduzione della quotidiana esistenza: linearità, razionalità, ottimismo, logica, buon senso.
Nonostante la consapevolezza di ciò, la scalata di “Il Passeggero” non è stata agevole. Per lunghi tratti ho avuto la sensazione di trovarmi davanti a una dannata corsa a ostacoli dove l’autore, con la complicità della perfida traduttrice, godesse nel contemplare a distanza lo sconcerto negli occhi del lettore che, pur illudendosi di aver fatto piazza pulita di sé come ricordava al tempo della sfida con l’Ulisse di Joyce, si accorge che no, non era bastato. Ed è solo quando ti cali (finalmente senza difese preventive) nel lessico spiazzante di Mc Carthy che inizi a intravederne sempre più nitidamente il tesoro nascosto.
Letteratura pura, dolente e visionaria come solo la realtà, purchè percepita a un livello superiore, può essere, quella del gigante di Providence, R.Island, USA. Personaggi, concreti e immaginari che più non si può, volteggianti intorno al protagonista Bobby Western – sommozzatore e fisico, perduto in un ricordo d’amore gonfio di sensi di colpa per Alicia, la giovane sorella morta, fuggiasco per le strade gelide di un’America desolata e mai davvero riconoscibile tra New Orleans, Knoxville, il mare e le montagne. Cosa non doveva vedere, il sommozzatore Bobby, a bordo di quell’aereo senza scatola nera inabissatosi nella baia del Mississippi nel 1980? Perché il decimo passeggero, unico e grande assente tra i cadaveri fluttuanti nella fusoliera, segna l’inizio della sua fuga senza fine, tra allucinazioni e ricordi lancinanti, ubriaconi e amici sorprendentemente informati sui misteri americani, primo fra tutti l’assassinio di John Kennedy? Lo saprò, chissà, quando avrò letto Stella Maris, seconda parte purtroppo postuma della diade. Ma non è detto.
Cormach McCarthy – Il passeggero – Einaudi 2022