Il patriarca sedeva a capotavola, i bicchieri ormai tutti vuoti, nelle bottiglie ne restava per l’ultimo brindisi. Si alzò faticosamente, rifiutando l’aiuto che il giovane nipote stava per prestargli.
«Amici e parenti. Voi tutti che siete venuti a questa ricorrenza per me così importante. Centodue anni. In tutto questo tempo so di aver fatto torto a molti di voi».
Una pausa, e un leggero mormorio nella grande sala. Il cameriere si fermò con le tazzine del caffè fumante nel vassoio sospeso per aria.
«E molti di voi… no, no, proprio tutti, a pensarci bene, avete fatto qualche torto a me. Piccolo o grande. E io non ho mai avuto la forza di pe威而鋼
rdonarvi, o almeno di dirvi le parole giuste per passare oltre. E tutto si è accumulato, come questi anni che mi porto».
Il giovane nipote lancia un applauso, seguito subito da tutti, Luca smette di grufolare nel piatto del dolce della moglie e cerca un tovagliolo per non applaudire con schizzi di panna.
Il patriarca fa un gesto perentorio.
«Non ho finito».
Scende il silenzio, Luca riprende a raschiare panna e diplomatica dai bordi. Il cameriere si avvicina con i caffè, non sa da dove iniziare a servire.
«Quel momento è arrivato, e il mio cuore è ormai sgombro da dubbi e incertezze».
Una pausa misurata per girare lo sguardo, che si posa infine sul nipote giovane che pende dalle sue labbra.
«Perciò vi dico che potete pure andare tutti affanculo. Posso anche morire da stronzo».