Il sangue della morte e della donna

Cruor, è il titolo della mostra di Renata Rampazzi in corso al museo Bilotti di Roma fino al gennaio 2021, dopo essere stata a Venezia alla Fondazione Cini. Una mostra che denuncia l’insopportabile violenza maschile sul corpo delle donne.
Il titolo rimanda immediatamente alle parole cuore e crudeltà, quasi una crasi o una parziale sovrapposizione, che immediatamente danno il senso di questo lavoro complesso della Rampazzi. Cruor è, infatti, il termine latino per indicare il sangue che fuoriesce da una ferita, il sangue della morte, ma che per i romani definiva anche il sangue mestruale, così come il sangue del parto e quello della deflorazione. Dunque il sangue cruor è della morte ed è della donna.
Ma soprattutto un sangue che nel momento che fuoriesce dal corpo perde la sua fluidità il suo far battere il cuore, il suo dare la vita.
Il senso del colore di Rampazzi si appropria del rosso di questo sangue e fissa sulla tela del quadro le sue infinite variazioni e mutazioni. Ma il solo spazio definito da una tela, sia essa piccola o grande non le basta per rendere l’emozione che lei vuole comunicare; ed ecco allora che su lunghe garze ripropone quei colori che perdono le tonalità forti e si slabbrano come il sangue delle ferite si incupisce sulle garze messe per fermarne la fuoruscita, e quelle lunghe garze le servono per creare un’installazione che è quasi un corridoio dove camminare per inoltrarsi in una emozione che è quella della violenza sul corpo della donna.
La materia ritrova nell’installazione il senso proprio della ferita: non solo la garza è materia utile alla ferita, ma anche la spatola utilizzata per dare il colore richiama, come dice l’artista “la lama come arma e strumento per ferire il corpo femminile”.
Ecco allora che cuore e crudeltà, il cuore dell’amore violato e la crudeltà della violenza dell’uomo, di colui che lei aveva pensato fosse il suo uomo, sono detti in quei rossi che diventano perfino neri.
Renata Rampazzi è una pittrice astratta e quindi non ci mostra corpi di donne feriti e straziati dalla violenza ma prende il tema del sangue e, come dice il curatore della mostra Claudio Strinati, lo trasforma “nel tema più specifico e molto forte e coinvolgente della ferita, della lacerazione, della violazione…”. E, da vera artista, trasmuta l’orrore dell’atto violento nella bellezza della creazione, perché, come ancora spiega Strinati, “la soluzione è quella di puntare tutto sull’idea del segno significante che è bello, e sovente bellissimo in sé ma resta carico del residuo di male e di colpa da cui è scaturito”. Dunque Cruor è una mostra dove il dolore e la forte emozione dilagano nella bellezza estetica creata dall’artista come una forma di catarsi rispetto all’insopportabile della violenza dei molti femminicidi che ogni giorno ci vengono crudelmente comunicati, che ci comunicano paura e spavento e di fronte ai quali si può ergere solo la coscienza del bene e del male.
Renata Rampazzi, torinese ma che dagli anni novanta vive e lavora a Roma, si forma negli anni settanta e ottanta del ventesimo secolo. Dopo una serie di mostre personali, studia all’Accademia di Salisburgo fondata da Oskar Kokoschka, lavora accanto a Emilio Vedova e con lui si avvicina all’espressionismo astratto sotto la guida del cinese Zao-Wou-Ki. Vince due volte il premio Bolaffi ed espone in Italia e all’estero. I suoi lavori sono stati utilizzati da grandi registi come Luchino Visconti, Margarethe von Trotta, Mimmo Calopresti e Mario Martone .

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