Sono andato a visitare Giovanni Gromo, che non vedevo da anni, nel suo studio di Fregene, dove si è rintanato.
Giovanni è un uomo anziano, va per i novanta e se li porta con fierezza. Resta legato al mestiere di pittore, fedele al suo cruccio visivo, che affastella visioni e memorie, dove paesaggio di Liguria e parafrasi allegorica si incontrano per l’efficacia di una coloritura densa, meditata come il distillato di una parola poetica intrisa di malinconia e di ironiche sferzate, assieme alla sua compagna Anna (oggi non è più) ai cani tanto amati e ad una volpe che sua moglie accudiva come una figlia.
Gromo è stato vicino a Carlo Levi al suo ‘appassionato discorrere’ assieme ad un gruppo di poeti e pittori che fecero scuola ad Alassio nei primi anni Cinquanta: Carlo Cattaneo, Felice Andreasi, Galeazzo Vigano e Guido Ceronetti, l’amico scrittore, acuto e amaro, di cui conserva un incisivo e toccante disegno.
Jean Leymarie, il non dimenticato direttore della Accademia di Francia a Roma dopo Balthus, amava molto il suo modo di sognare ad occhi aperti e con la scatola dei colori sempre a disposizione. Suo grande amico fu l’eccellente maestro d’arte, pittore surreale e visionario, Riccardo Tommasi Ferroni.
Oggi, Giovanni continua la sua perifrasi immaginativa dipingendo metafore formali che trasfigurano ciò che vede in ciò che sente: tutto ci appare come un armonico soliloquio di cui ci si sente compartecipi, dal tono più elegiaco all’improvviso scandaglio allusivo di un mondo interiore, che scava nel profondo…