Dicono che il tempo sia una dimensione dello spazio dentro il quale l’uomo vive, progredisce, muore.
Ma il tempo non si vede, non lo si può toccare: come il mare è trasparente, ci appare solo qualche volta, nelle nervature sofferenti delle foglie, nell’autunno della gente, nel declinare delle cose, è fatto di ingranaggi contrapposti e complicati, delicati meccanismi in divenire limitato, contingenze nostre, esistenziali.
Di quello che ci attende dopo, non sappiamo; forse un alfabeto che si ricompone in modo discontinuo, frammentato, quotidiano: la morte, la risurrezione, incidenti di un esercizio di memoria, legge necessaria della sofferenza umana, universale più della gravitazione.
Altrimenti, senza la speranza del mistero, senza l’illusione quotidiana della vita, contro la paura di morire non resterebbe altro che rotolare in fretta, sul crinale dell’assurdo, il granito indifferente, senza senso, del dolore.