Il paramecio è un essere vivente semplice. Si muove senza uno scopo preciso, seguendo una traiettoria diagonale. Non avendo occhi, il paramecio viaggia alla cieca finché non trova un ostacolo contro cui sbatte. Allora si ferma, esibisce la cosiddetta “reazione di esitamento” e torna indietro sempre in diagonale, sempre alla cieca, imperterrito.
Quando l’algida professoressa Romanini ci spiegò la tecnica del paramecio, raggiunsi un momento di estasi. Adolescente alla ricerca di me stessa ebbi un’epifania, e il mondo mi apparve finalmente amico.
Elaborai il teorema del paramecio: dato un essere vivente, anche il più semplice del pianeta, esiste sempre un epsilon preso piccolo a piacere di informazione recepibile, utilizzabile come filosofia di vita dall’essere vivente più complesso.
Felice di tale informazione ne feci subito metodo; la tecnica del paramecio divenne il mio modus operandi.
Sono trascorsi molti anni da quell’epifania, anni di pratica costante e devota durante i quali ho portato la tecnica del paramecio a livelli di perfezione ineguagliabili persino per un paramecio.
Ecco, ora che è passato del tempo mi sento pronta a elaborare il seguente postulato al teorema: condizione necessaria e sufficiente acciocché l’informazione veicolata dall’essere vivente semplice sia utilizzabile come filosofia di vita da un essere vivente complesso, è che quest’ultimo si ricordi di dotare ogni aspetto della propria esistenza di adeguati paraspigoli.