La prima scena si apre con i festeggiamenti per Santa Rosalia: un baccanale con femmine discinte e fuochi d’artificio. Tutti fuori sul terrazzo, la Famiglia e le Famiglie, a tributare l’omaggio, più pagano che cristiano, alla patrona della città. Palermo, primi anni ’80, alla festa ci sono tutti i pezzi da 90 di Cosa Nostra: i Buscetta, i Riina, i Contorno, i Calò, impettiti e sorridenti nelle foto di circostanza, in realtà già in guerra tra di loro. Una guerra tra bande livida e feroce che non risparmia nessuno, uomini, donne e bambini; una sfida aperta tra vecchia e nuova Mafia.
Con il piglio disincantato e visionario che lo contraddistingue, Marco Bellocchio prende un pezzo di storia italiana e lo traduce in ciò che sarebbe riduttivo chiamare solo un film. Come in “Buongiorno, notte” (2003) rivisita il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro, così ne “Il traditore” racconta a suo modo la vicenda, notissima, di Tommaso Buscetta detto Masino. E, come fu per lo statista italiano ucciso dalle BR, pur non discostandosi dalla realtà dei fatti, la sua, più che una rivisitazione storica, è uno scavo nella personalità e nell’animo del “Boss dei due mondi”.
Interpretato da uno straordinario Pierfrancesco Favino, che ne coglie appieno fisionomia e gestualità, Buscetta è uomo schietto, tutto d’un pezzo, che pare non temere niente e nessuno eppure tormentato dai fantasmi della sua infanzia e dai rimorsi delle infamie commesse. Perché – questo il messaggio del regista di Bobbio – Buscetta, nonostante il coraggio nello svelare l’architettura criminale di Cosa nostra, era e rimase sino alla fine un assassino. Meticolosa la ricostruzione del maxi-processo con i reclusi in gabbia che ringhiano come cani rabbiosi contro “l’infame”; le arringhe in aula – da segnalare quella con l’ottimo Bebo Storti nella parte dell’avvocato Coppi, difensore di Andreotti; i dialoghi serrati tra Buscetta e Falcone; l’interpretazione sofferta di Luigi Lo Cascio che impersona Totuccio Contorno. Evocativi i brani musicali che rafforzano alcune scene chiave del film, da L’italiano (cult dell”83 con Toto Cotugno) a Historia de un amor, cantata dallo stesso Buscetta.
“Dottore Falcone – dirà il pentito nel corso di uno dei tanti interrogatori – noi dobbiamo decidere solo una cosa: chi deve morire prima, lei o io”. Morirà prima Falcone e Bellocchio ci ripropone i funerali del magistrato ucciso con la cronaca televisiva dell’epoca.
Lui, il pentito Buscetta, morirà da solo, sulla terrazza della sua casa di New York, nell’aprile del 2000. Il viso gonfio, il fucile accanto, lo sguardo perso a scrutare il passato e i suoi spettri.
Nonostante i 13 minuti di applausi al Festival di Cannes, il film non ha vinto alcun premio ed è un peccato. Il cinema italiano di qualità è di pochi registi, quello civile e rigoroso di Bellocchio è tra quei pochi.
Con il piglio disincantato e visionario che lo contraddistingue, Marco Bellocchio prende un pezzo di storia italiana e lo traduce in ciò che sarebbe riduttivo chiamare solo un film. Come in “Buongiorno, notte” (2003) rivisita il sequestro e l’assassinio di Aldo Moro, così ne “Il traditore” racconta a suo modo la vicenda, notissima, di Tommaso Buscetta detto Masino. E, come fu per lo statista italiano ucciso dalle BR, pur non discostandosi dalla realtà dei fatti, la sua, più che una rivisitazione storica, è uno scavo nella personalità e nell’animo del “Boss dei due mondi”.
Interpretato da uno straordinario Pierfrancesco Favino, che ne coglie appieno fisionomia e gestualità, Buscetta è uomo schietto, tutto d’un pezzo, che pare non temere niente e nessuno eppure tormentato dai fantasmi della sua infanzia e dai rimorsi delle infamie commesse. Perché – questo il messaggio del regista di Bobbio – Buscetta, nonostante il coraggio nello svelare l’architettura criminale di Cosa nostra, era e rimase sino alla fine un assassino. Meticolosa la ricostruzione del maxi-processo con i reclusi in gabbia che ringhiano come cani rabbiosi contro “l’infame”; le arringhe in aula – da segnalare quella con l’ottimo Bebo Storti nella parte dell’avvocato Coppi, difensore di Andreotti; i dialoghi serrati tra Buscetta e Falcone; l’interpretazione sofferta di Luigi Lo Cascio che impersona Totuccio Contorno. Evocativi i brani musicali che rafforzano alcune scene chiave del film, da L’italiano (cult dell”83 con Toto Cotugno) a Historia de un amor, cantata dallo stesso Buscetta.
“Dottore Falcone – dirà il pentito nel corso di uno dei tanti interrogatori – noi dobbiamo decidere solo una cosa: chi deve morire prima, lei o io”. Morirà prima Falcone e Bellocchio ci ripropone i funerali del magistrato ucciso con la cronaca televisiva dell’epoca.
Lui, il pentito Buscetta, morirà da solo, sulla terrazza della sua casa di New York, nell’aprile del 2000. Il viso gonfio, il fucile accanto, lo sguardo perso a scrutare il passato e i suoi spettri.
Nonostante i 13 minuti di applausi al Festival di Cannes, il film non ha vinto alcun premio ed è un peccato. Il cinema italiano di qualità è di pochi registi, quello civile e rigoroso di Bellocchio è tra quei pochi.
Il Traditore di Marco Bellocchio – Italia 2019