Il tuo amato Cecco

Oggi non mi va di posare. Sono arrabbiato. Capita qualche volta.

Tu non ti perdi d’animo, guardi verso il soffitto, da dove ora piove la luce bianca dell’inverno, dopo che hai fatto rimuovere parte del tetto. Ho freddo. Non mi dici niente. Ti tengo il muso, e tu? Niente.

“Sorridi” mi dicevi appena due anni fa, “sorridi di più”, e io quasi stavo per cadere mentre stendevi sulla tela il sangue vispo che mi distorceva la faccia, mi guizzava sui nervi tesi, mi fioriva tra le cosce. Quando mi sono rivisto, tutto nudo, appeso alla testa dell’ariete, non potevo crederci: ero io, proprio io, non qualcun altro.

Chi vuoi prendere in giro, testa matta? Chi potrebbe mai pregare davanti a quel San Giovanni troppo giovane? Davanti al ghigno di quel ragazzotto che scopre i denti, con l’ombra della peluria così incerta sotto al naso?

Oggi non mi va di posare, sono arrabbiato. Perché? Non te lo dico. Lasciami in pace. Sono cresciuto. Non sono più quel pischello lì. Anche io ho dei segreti. Ma tu neanche mi dai ascolto. E afferri il pennello.

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