Non riuscii mai a non pensare al passato e anche al trapassato, in questo caso mio nonno, don Mimmo fu Giacomo. Egli fu obbediente in guerra, ebbe hobby in pace, di professione insegnò. Nel suo programma scolastico fece progetti per il passato, non si esimé dal combattere i verbi difettivi ed espulse l’alunno più neghittoso che osò sbagliare il tempo e il modo. Ebbe l’abitudine di correggere il caffè con la penna rossa, si beò di passato di verdura coi crostini, e molti eventi lo segnarono profondamente. Si profuse in intensi ringraziamenti quando venne pensionato e il direttore gli diresse un ditirambo di sua composizione che lo commosse in maniera cerebrale. Patimmo molto la sua dipartita.
Tuttavia ci riscuotemmo ricordando l’atteggiamento che tenne nei nostri confronti, quando ci affabulò con le sue favole, quando ci spiegò l’attaccamento di noi meridionali al passato remoto.
«Insegnai il passato» ebbe a dire, «perché dal passato si impara». Non dimenticammo mai don Mimmo, ereditammo da lui il vizio del fummo.