Dopo il successo di “La mafia uccide solo d’estate”, Pierfrancesco Diliberto in arte Pif, ci riprova. Il filone è sempre lo stesso: la Sicilia e la pervasività del fenomeno criminale nell’isola. Ma, mentre il film precedente raccontava di un bambino la cui storia s’intrecciava a eventi delittuosi compiuti da Cosa Nostra, questa volta si narra di come lo sbarco degli alleati in Trinacria, nel ’43, avvenne anche grazie all’aiuto della Mafia.
Mussolini, sin dall’inizio, si dimostrò assai allergico al banditismo e al fenomeno mafioso che, grazie al pugno di ferro del prefetto Mori da lui spedito a Trapani e poi a Palermo, fu energicamente represso. Il potente boss Lucky Luciano, condannato negli Usa nel ’35 a cinquant’anni di carcere, venne graziato nel ’46 proprio per i “servigi” resi alla Marina militare e poté tranquillamente tornarsene in patria, servito e riverito. Il gangster italo-americano e il suo presunto tramite (alcuni storici ne confutano l’autenticità) tra servizi segreti statunitensi e famiglie mafiose dell’isola, è lo spunto da cui parte Pif per costruire la narrazione del suo nuovo film.
Arturo, siciliano da poco trapiantato in America, fa il cameriere in un ristorante ed è innamorato di Flora, sua conterranea, che è stata però promessa in sposa al figlio del braccio destro di Lucky Luciano. Per cercare di fermare il matrimonio, Flora, che ricambia il suo amore, lo convince ad andare dal padre, rimasto in Italia, a chiedere la sua mano. Arturo accetta e per superare le difficoltà del viaggio si arruola nell’esercito e sbarca insieme agli altri soldati Usa nel paesino di Crisafulli. Che è ancora in mano, nonostante il presidio di militari in fez e orbace, all’uomo di “panza” Don Calò. I contatti tra i militari yankee e il boss locale faciliteranno, appunto, lo sbarco degli alleati.
Arturo, goffo e disarmante nella sua ingenuità, oltre a cercare il padre della morosa si troverà invischiato nelle dinamiche tra la gente del paese, i soldati americani e i fascisti. Con alcune trovate divertenti nella loro drammaticità – il fuggi fuggi nelle cantine durante i bombardamenti con la beghina che si porta appresso la statua in gesso della Madonna e il convinto fascista quella di Mussolini col braccio alzato – il film pecca spesso in eccesso di”naïveté” e cade in stereotipi di sicilianità di maniera. Ma la sottolineatura di un fatto storico allarmante, che sia parzialmente o interamente vero, è di grande importanza e impatto emotivo.
Le ultime scene che mostrano la piazza di Crisafulli tirata a lucido con Don Calò diventato sindaco, che arringa i compaesani disquisendo di democrazia e libertà con dietro i simboli del nuovo partito, la DC, parlano chiaro su quello che sarà il futuro dell’isola.
Mussolini, sin dall’inizio, si dimostrò assai allergico al banditismo e al fenomeno mafioso che, grazie al pugno di ferro del prefetto Mori da lui spedito a Trapani e poi a Palermo, fu energicamente represso. Il potente boss Lucky Luciano, condannato negli Usa nel ’35 a cinquant’anni di carcere, venne graziato nel ’46 proprio per i “servigi” resi alla Marina militare e poté tranquillamente tornarsene in patria, servito e riverito. Il gangster italo-americano e il suo presunto tramite (alcuni storici ne confutano l’autenticità) tra servizi segreti statunitensi e famiglie mafiose dell’isola, è lo spunto da cui parte Pif per costruire la narrazione del suo nuovo film.
Arturo, siciliano da poco trapiantato in America, fa il cameriere in un ristorante ed è innamorato di Flora, sua conterranea, che è stata però promessa in sposa al figlio del braccio destro di Lucky Luciano. Per cercare di fermare il matrimonio, Flora, che ricambia il suo amore, lo convince ad andare dal padre, rimasto in Italia, a chiedere la sua mano. Arturo accetta e per superare le difficoltà del viaggio si arruola nell’esercito e sbarca insieme agli altri soldati Usa nel paesino di Crisafulli. Che è ancora in mano, nonostante il presidio di militari in fez e orbace, all’uomo di “panza” Don Calò. I contatti tra i militari yankee e il boss locale faciliteranno, appunto, lo sbarco degli alleati.
Arturo, goffo e disarmante nella sua ingenuità, oltre a cercare il padre della morosa si troverà invischiato nelle dinamiche tra la gente del paese, i soldati americani e i fascisti. Con alcune trovate divertenti nella loro drammaticità – il fuggi fuggi nelle cantine durante i bombardamenti con la beghina che si porta appresso la statua in gesso della Madonna e il convinto fascista quella di Mussolini col braccio alzato – il film pecca spesso in eccesso di”naïveté” e cade in stereotipi di sicilianità di maniera. Ma la sottolineatura di un fatto storico allarmante, che sia parzialmente o interamente vero, è di grande importanza e impatto emotivo.
Le ultime scene che mostrano la piazza di Crisafulli tirata a lucido con Don Calò diventato sindaco, che arringa i compaesani disquisendo di democrazia e libertà con dietro i simboli del nuovo partito, la DC, parlano chiaro su quello che sarà il futuro dell’isola.
“In guerra per amore” di e con Pif (Italia 2016)