In questi tempi di incertezza, ciascuno deve fare la sua parte. Mi mandano a fare la spesa e io accetto.
Mi chiedono di comprare i friarielli. Saprò riconoscerli?
L’immagine dell’aiuola verde intorno alla salsiccia mi balena in piena sinestesia, benché il gusto preceda la vista, e mi impongo uno sforzo di fantasia provando a ricondurre i friarielli dal piatto alla loro forma originaria, nonché cruda.
Attraverso la trincea degli scaffali, i prodotti incasellati mi osservano minacciosi e si fanno beffe del mio straniamento, schierandosi l’uno accanto all’altro in plotoni che sparano colori, cifre, nomi.
Come si chiameranno in italiano i friarielli? Friggitelli forse?
Turbato dal quesito tassonomico, raggiungo il banco. La luce del neon scivola e guizza sulle pellicole trasparenti che imprigionano la grazia tumida e prosperosa delle bontà dell’orto. E prima ancora della forma e del colore, è l’etichetta che mi induce al sussulto: “friarielli”.
Eccoli, sono loro, aspettano me.
Afferro la confezione e mi godo l’esuberanza dell’orgoglio, come chi abbia sormontato un ostacolo che immaginava invalicabile e si guardi indietro con tenero sentimento.
La cassiera ignora la mia fierezza e spara ai friarielli, deponendoli nella busta.
Torno a casa baldanzoso e annuncio : li ho trovati!
Le spoglie dei friarielli sono issate sul tavolo, pronte all’ammirazione generale e , invece, è solo il sarcasmo che le accoglie.
Che me ne faccio di una confezione? Ce ne vogliono almeno altre due.
Imploro di far fronte comune e di riflettere se si abbisogna di altro, in modo da poter sì tornare al carrello, ma evitando lo scorno di passare davanti alla cassiera, agli inservienti, alle schiere dei prodotti e agli scaffali, con sole due confezioni di friarielli, il che vorrebbe dire ammettere la mia colpevole incompetenza, la mia ingiustificabile dabbenaggine.
Si vuole punire la mia tracotanza o forse fare solo economia.
Non c’è bisogno di altro.
Eccomi alle porte sorvegliate dall’igienizzante. Faccio un respiro profondo e – cavoli, non lo dovevo fare – gli occhiali si appannano e brancolo nelle nebbie. A testa bassa, ma fingendo sicumera, vado al banco, libero due confezioni di friarielli, mi mimetizzo tra gli scaffali e aspetto il momento in cui la cassiera è da sola.
Vorrei fischettare, per assumere un’aria indifferente, ma la mascherina me lo impedisce, tanto è vero che la cassiera, senza neanche guardarmi, scambia la mia esibizione musicale per uno strano borbottio e mi dice: Cosa? Prego? Poi solleva la pistola con esasperante lentezza, mentre alle mie spalle si riforma la fila e mi giunge sulla noce del collo il brivido delle stilettate: gli astanti, i miei avi e i pronipoti ridono di me e sul mio capo si abbatte la maledizione in saecula saeculorum. Povero fesso!
Trovo riparo in una realtà parallela dove la cassa si blocca e bisogna fare i conti a mano e, così, magicamente, si impone il caso di dover risolvere un’equazione di secondo grado e, di bocca in bocca, si diffonde lo sconcerto, nessuno ricorda la formula, ma io sì, e la risolvo, aggiungendo che delle due soluzioni una è con il segno meno, il che ci obbliga a scegliere quella con il segno più. Scoppia un applauso fragoroso, sono proclamato cliente dell’anno, la cassiera mi guarda con ammirazione e vorrebbe protendersi per abbracciarmi, poi allunga la pistola e – bip – mi colpisce al cuore.
Riapro gli occhi. Nient’altro? Non aspetta risposta, imbusta le due confezioni di friarielli con un impercettibile “tse”che lo scampolo di orgoglio rimasto mi impone di non tradurre.
Usciamo, io e le due confezioni di friarielli, sconfitti, ma liberi e con la speranza che, se non io, almeno loro siano buoni.