Siamo all’Estoril in Portogallo, penultima gara del Mondiale 2006. Nicky Hayden in quel momento è in testa alla classifica piloti, gli basta vincere quel gran premio per diventare campione del mondo. Ma Nicky Hayden non è un vincitore di professione, è uno caparbio e costante, quell’anno lì, il 2006, ha vinto solo due volte e in maniera piuttosto rocambolesca. Nicky è concentrato, sa che ha solo una possibilità. Il suo compagno di squadra è appena dietro di lui, cerca di superarlo, fa una manovra maldestra e lo colpisce. Finiscono entrambi nella ghiaia. Nicky si gira per vedere chi ha spezzato i suoi sogni di diventare campione del mondo, è il suo compagno, non lo avrebbe creduto. In conferenza stampa, dopo l’incidente, piange. Perché per uno che non è un vincitore di professione, arrivare così vicino alla gloria, e vederla scappar via per mano di un compagno, è un colpo davvero troppo duro. L’intervistatore gli chiede “Credi l’abbia fatto apposta?”, lui ci pensa un attimo. “No. Ho ancora bisogno di lui, c’è un’altra gara davanti, siamo una squadra, può ancora accadere di tutto.” Nell’ultima gara, a Valencia, accade di tutto. Nicky Hayden arriva terzo, il suo rivale, che è Valentino Rossi, tredicesimo. Il ragazzo del Kentucky diventa campione del mondo, per la prima e unica volta nella sua carriera. Ha gli occhi lucidi, si rivede quando ragazzino strappava il tabacco nella fattoria dello zio. Nicky è uno che viene da lontano, da un posto sperduto d’America sulle rive del fiume Ohio. La motocicletta è un modo per scappare via. Appena dopo il Natcher Bridge, c’è l’Interstate, c’è l’Indiana, c’è il West. Il cielo, da quelle parti, non finisce mai.
Nicky Hayden (Owensboro, 30 luglio 1981 – Cesena, 22 maggio 2017)