A rattristare ancor di più (come se ce ne fosse stato bisogno) il momento oscuro, torbido, spietato che stiamo vivendo, ti arriva tra capo e collo una notizia insopportabile. Arriva nel modo obliquo, prima incerto, poi condiviso da un coro di voci sempre più grande e finalmente confermato come una condanna senz’appello, in cui arrivano le notizie su Facebook: è morto Ennio Valeri, professore di filosofia e libero pensatore. No, incredibile, dev’essere una fake new, una delle poche che si desidera siano balle crudeli, insensate ma alla fine, vivaddio, balle.
Invece no, è vera, la notizia. La persona che leggevi e che ti leggeva, che stimavi per le sue idee così simili alle tue, alla tua visione del mondo e che ricambiava la tua stima rispondendoti, completando il tuo pensiero con l’arguzia in più, la rifinitura da grande numero dieci di quel calcio che i veri intellettuali sanno amare e non disprezzare, ha terminato la sua corsa travolto in modo orrendo e banale da un camion. Mentre era in bicicletta, percorrendo una strada anonima della sua Milano, come il Gaudi che, nella Barcellona da lui resa unica al mondo, perse la vita investito da un tram.
Sono passati un paio di giorni e solo adesso riesco a scrivere due righe su cosa provo veramente. Ho pensato cosa avrebbe scritto lui, il professore anziano dalla testa giovane, affrontando un evento simile dalla parte di chi rimane, a bocca aperta, a contemplare l’assurdità della condizione umana.
Forse avrebbe scritto che è nato un nuovo tipo di amicizia, di condivisione, di confronto di idee, ma questa è una cosa ben conosciuta da noi affezionati del socialnetwork che ci tiene ormai prigionieri da anni ogni maledetta giornata. Ma avrebbe aggiunto, ne sono certo, che è nato, in contemporanea, un nuovo tipo di dolore. Quello difficilmente definibile, dai contorni vaghi, inquietanti, che ti ghermisce quando se ne va un amico di Facebook. Un dolore che non ha niente di fisico, non si può essere affezionati a una fototessera che, già in partenza, prefigura l’immagine installata sulla lapide che ricorderà a familiari e posteri il nostro ceffo eternamente sorridente.
Ennio aveva scritto una volta, forse seguendo una premonizione oscura o magari solo i pensieri che inevitabilmente si insinuano in età matura negli uomini dotati di materia grigia, che quando muore un uomo finisce nel vortice ignoto una biblioteca immensa. Un pensiero che è sempre stato anche mio. Aggiungo solo che il luogo dov’è adesso Ennio Valeri deve essere davvero molto, molto grande per contenere la sua biblioteca.
Amicizia Dolore Social Network