“le stelle ci sorridono se a tratti/ socchiudono gli occhi come fanno i gatti” (Sandro Penna)
Ieri notte non riuscivo a dormire e così sono sceso dal letto come da una barca alla fonda; ho resuscitato dal frigo una bottiglia di prosecco, già alleggerita per buona parte nei giorni di festa, e ho riempito mezzo bicchiere di carta; sulle scale fuori casa l’aria era fredda e trasparente; i lampioni sul parcheggio stampavano aloni giallognoli e mesti da abat-jour; al di sopra la sagoma netta e opalescente della luna, poi una nuvola solitaria che sembrava disegnata da un bambino e le stelle – e ho pensato che quando diciamo che le stelle brillano non diciamo affatto una banalità: le stelle palpitavano, apparivano a una a una, sbucavano dalla notte compatta e si ricomponevano poi tutte assieme, una volta che lo sguardo si fosse illuso di averne completato l’elenco; lontano l’orizzonte era una striscia satura di acqua, tanto corposa e visibile era la luce intermittente del faro sul Castello.
Non c’era nessuno, data l’ora tarda, e allora ho immaginato che il miracolo di una notte così non fosse di per sé straordinario, ma che al contrario fosse straordinaria la mia presenza di insonne, di intruso, e così, allontanandomi in punta di piedi, mi sono rassegnato a tornare a letto.