Io, lei, l’altra

Guardami.
E dimmelo in faccia.
Sono cinica? Su, coraggio! Sono abituata alla tua riprovazione. Lo sai? Quasi mi mancavano le tue labbra strette, le narici tese, il fuoco in fondo alle pupille – buchi neri affogati in un inutile verde. La pelle comincia ad avvizzire, te ne sei accorta? Eccole, le rughe nuove, cariche di disgusto. “Figlia degenere!”, pensi; ma non lo dici, pezzo di codarda.

“Dovresti andare a trovarla. Quando sarà morta, magari tra soli cinque minuti, non saprai dove raccattare la cenere – che ironia! – con la quale cospargerti il capo”.

Stai-zitta-cazzo.
Ma come fai a blaterare in silenzio?!

Imperterrita, continui: “Te la porterai dietro per tutta la vita. Anzi, dentro. Perché è roba tua, ti appartiene. Lei sei anche tu, mia cara. I geni sono geni.”

Ti odio, maledetta bestia. Ma tu che ne sai? Facile biasimare! Te ne stai lì, ottusa e altera, con l’indice puntato e una scorta di saccenteria take-away.

“Lo sai che la schizofrenia può essere ereditaria? Ti sei mai chiesta se tutti i tuoi sbalzi d’umore, i picchi d’entusiasmo e i voli nel baratro…”

Taci, idiota! Dov’eri quando avevo bisogno di te? Quando ancora credevo fosse mio diritto avere una madre? In quale angolo remoto covavi la merda che, adesso, mi rovesci addosso con tanta nonchalance?
Taci, cristo!

Mi sposto di un passo, in questo stanzino mezzo metro per due. Chiudo la tavoletta del water. Aggiusto l’asciugamano che penzolava accanto al lavandino. Mi chiudo la porta alle spalle. Premo l’interruttore, che è all’esterno del bagno, come in tutte le vecchie case.

E la mia coscienza rimane lì, ancora muta, al buio. Affogata in fondo allo specchio.

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