Quando un ex fidanzato, un tempo molto amato, ti chiama e ti chiede aiuto, le possibilità sono due: accorrere o, più verosimilmente, infierire.
Si cerca il punto debole e lì si colpisce fino a vederlo esalare l’ultimo respiro. Non per cattiveria; per ripristinare il giusto equilibrio delle cose.
Serve a chi colpisce e a chi subisce. Il primo si vendica, che rimane sempre e comunque pratica nobile, catartica, che distende la pelle, quindi un naturale antiage; l’altro abbandona la parte del torto.
Io rientro nella categoria che accorre.
Non porto rancore. Non per nobiltà d’animo, per memoria difettosa. Covo al massimo per qualche semestre, non di più. E così, quando arriva il segnale di SOS, passato il tempo che serve, mi precipito.
L’ex fidanzato in questione, che più lo guardo e più non mi spiego perché abbia avuto a che fare con me e io con lui, vive un periodo complicato, difficile, impegnativo.
Tutta la sua vita dipende da un concorso. Il concorso. Quello in magistratura.
Fin nella culla, aveva un unico sogno: fare il giudice.
Eravamo appena fidanzati la prima volta che tentò i quiz. Fece 6 errori, si passava con 5. Avrei dovuto lasciarlo all’istante. Per principio. E invece no, sono cocciuta.
Come cantava quel genio di De Andrè, passano gli anni, i mesi e, se li conti, anche i minuti; è triste ritrovarsi adulti senza essere cresciuti. Di anni, ne sono passati 6 e lui sta ancora inseguendo il fatidico concorso. I quiz e gli scritti sono stati superati. Mancano gli orali. Qui entro in campo io.
Io che disprezzo il diritto. Io che vorrei una tranquilla dittatura nella quale tutti possano vivere sorvegliati, sottomessi, assoggettati e quindi felici.
Ma bisogna soccorrere chi è in difficoltà. E lui lo è, credetemi. Pallido, provato, dimagrito. Sembra uno zombie, ma siccome madre natura l’ha fatto bellissimo, resta comunque uno zombie strafigo.
Passeggia con libroni di procedure sotto il braccio e profetizza catastrofi in caso di insuccesso.
Scioccamente penso che l’unica cosa sia ricordargli quanto sia capace, competente, che ormai il diritto lo conosce meglio dell’Ave Maria, che la sua preparazione è impeccabile e che, soprattutto, la passione e la dedizione con le quali ha studiato non potranno che premiarlo.
Con gli occhi blu come il mare dei primi di luglio mi fulmina, però. Neanche gli avessi offeso la stirpe. E tuona: “Che dici!? Io il diritto lo odio!”.
Incredula controbatto: “Ma tu non volevi fare il magistrato più di qualunque altra cosa?”.
E lui finalmente sincero: “Io? Io volevo fare l’attore teatrale”.
Gelo.