Un tempo, la penisola italiana non esisteva. O meglio, cominciò a esistere proprio quando un suo acerrimo nemico, il cancelliere austriaco Metternich, la definì con molta malevolenza “un’ espressione geografica”. Il cancelliere faceva, avrebbero detto a Milano, “el so mestè”, il suo lavoro, ma non è di questo che voglio parlare oggi.
Quello che volevo mettere in rilievo è che, per decine e decine di secoli, il tratto distintivo della nostra terra felix è stato molto più fisico che politico. E’ vero, Roma aveva dominato il mondo. Ma la penisola, in senso stretto, non si era mai riconosciuta come fulcro politico globale. Che era piuttosto, all’inizio, il mito dell’ Urbe Eterna e poi, a seguire, la leggendaria potenza di un impero mondiale.
L’Italia insomma, è sempre stata, più che altro, il “Belpaese”. Terra incantata di mari incontaminati, montagne di folgorante bellezza, panorami collinari, lacustri, infuocati dal sole o accarezzati dal vento e dalla neve. E poi arricchita, secolo dopo secolo, da fori, templi, teatri colossali e poi chiese, palazzi progettati e affrescati da maestri incomparabili o ricoperti di superbi mosaici. E ancora borghi, città straordinarie che ancora oggi non hanno uguali nel mondo.
L’Italia era il paese della dolcezza e dell’amore. Le battaglie feroci, che mille popoli stranieri hanno combattuto sul suo contesissimo suolo sono state certamente politiche, hanno seguito le consuete leggi economiche che governano il pianeta. Ma nel nostro caso, una parte importante della lotta riguardava il possesso esclusivo di questo angolo di paradiso. Erano anche battaglie d’ Amore.
Cosa è successo dopo?
Oggi credo che l’Italia, finalmente riconosciuta a pieno titolo con questo nome, sia il paese dove l’Amore si senta più a disagio. Il mondo intero non si ama, questo lo sappiamo bene. Ma la sensazione di distacco, l’estraneità sempre crescente a sentimenti come l’Empatia, l’Amicizia, il Rispetto, la Tolleranza, che si avverte qui da noi ha pochi confronti, in Occidente.
E non è solo una questione di atteggiamento nei riguardi della diversità, dell’accoglienza, dei problemi legati all’immigrazione, del clima mefitico che permea la lotta politica.
Il nodo, a mio parere, è proprio nei rapporti individuali, interpersonali. L’ottusa intransigenza che contraddistingue, qui da noi in modo particolarmente accentuato, i pessimi rapporti tra uomini e donne e i continui fallimenti umani che ne conseguono, il mobbing e lo sfruttamento sistematico nei luoghi di lavoro, l’intolleranza generalizzata espressa dalla società sono segni inconfondibili di un temibile piano inclinato, orientato verso il tangibile impoverimento culturale già da tempo in atto.
Naturalmente ci sono complesse motivazioni storiche e sociologiche, dietro un quadro così preoccupante, e non mancano esperti e studiosi che dedicano tempo e risorse intellettuali importanti all’analisi del fenomeno e ad indicarne le eventuali soluzioni.
Ma come in ogni terapia, la consapevolezza individuale della patologia è l’irrinunciabile punto di partenza per ogni miglioramento.
Basta ricordarsi che il destino assegnato alla razza umana è, senza alternative possibili, quello della condivisione.
E che, a conti fatti, i Beatles non erano poi così banali come sembrava, quando nel 1967 cantarono in diretta “All you need is Love”. Era la prima trasmissione televisiva in Mondovisione in senso assoluto e i tempi, direi, erano migliori.