Per decenni gli americani bianchi, i discendenti dei coloni, hanno odiato gli italiani in maniera feroce e sistematica. Dalla fine del XIX secolo agli anni ’30 del XX siamo stati probabilmente i più detestati e temuti.
Sbarcati a milioni, alla lettera, ci chiudevamo nelle nostre comunità, spesso ostaggi di connazionali che ci vendevano come schiavi di fatto. Non imparavamo la lingua, non mandavamo i bambini a scuola (ma a lavorare o a mendicare), rifiutavamo le nuove usanze e coltivavamo le nostre incomprensibili tradizioni.
Intorno al 1920 a New York arrivavano così tante navi da intasare il porto. Intercettate al largo, le imbarcazioni provenienti dall’Italia venivano dirottate verso Boston.
Eravamo classificati come “negroidi”: troppo vicini all’Africa, si diceva, per non avere “sangue negro” nelle vene. Prova ne fosse il colorito olivastro che TUTTI avremmo avuto.
Venivamo considerati un pericolo subdolo: a differenza di neri, asiatici e ispanici, gli italiani dalla carnagione più chiara potevano essere scambiati per bianchi, a un esame superficiale, quindi per noi era più facile “contaminare la razza bianca”.
Un italiano che intrattenesse una relazione con una donna bianca rischiava il linciaggio, come i neri.
Il Ku Klux Klan ci equiparava in tutto e per tutto ai neri: da impiccare al minimo pretesto, così prima o poi avremmo capito di restare a casa nostra.
Negli stati del sud ancora oggi perdura la convinzione che siamo non-bianchi, al pari degli ispanici.
[Nel 1973 Nixon, poco prima di essere spazzato via dallo scandalo Watergate, disse che eravamo diversi da loro, ci vestivamo in modo strano, puzzavamo di aglio ed era impossibile trovarne uno onesto.]
Anche gli altri immigrati ci odiavano. Accettavamo salari e condizioni di lavoro che ormai irlandesi, olandesi e francesi rifiutavano. Avevamo sostituito i neri nelle piantagioni, mandavamo all’aria le prime contrattazioni sindacali.
I meridionali soprattutto erano considerati “inadatti a imparare o mantenere qualsiasi lavoro, inclini per natura alla violenza”, incompatibili con lo stile di vita americano. Per un certo periodo siciliano o napoletano è stato sinonimo di “feroce bandito”.
Peccato che, per i loro esperti, il meridione cominciasse a Padova. Sotto Padova, tutti mafiosi; sopra Padova, invece, biologicamente stupidi, mentalmente inferiori al resto d’Europa.
Contro nessun altro si è scatenata una simile campagna di odio. Si arrivò a una vera e propria italofobia. Il principale veicolo di diffusione fu la stampa, sia quella ufficiale che quella clandestina, creata apposta per perseguitarci. Contro nessun altro è stata adoperata una tale mole di articoli denigratori, vignette insultanti, perfino canzoncine.
Ci rubano il lavoro, stuprano le nostre donne, non si vogliono integrare, corrompono il nostro spirito, si diceva. Chiudiamo le frontiere, bombardiamo le navi al largo, lasciamoli marcire nei porti, non facciamogli toccare terra, scrivevano i giornali.
Professano una strana religione, si insisteva, che niente ha a che fare con i nostri valori. Un misto di paganesimo e superstizione, impossibile da sradicare.
Eravamo raffigurati come orrendi sorci che nuotavano verso la riva con il coltello tra i denti. Venivano mostrati gli “argomenti” migliori per trattare con noi: gabbie, randelli, corda e sapone.
Giravano saporite barzellette: sapete quando un italiano vede il sapone per la prima volta? Quando lo impiccano
Ammazzare un italiano era di fatto tollerato. Bastava dire: “Mi ha aggredito lui” e la legittima difesa era scontata. Nemmeno si arrivava al processo. Caso chiuso.
Se vittima e assassino erano entrambi italiani, il disinteresse era quasi totale: finché ci ammazzavamo tra di noi andava bene.
Nel 1891, a New Orleans, si scatenò quello che forse è il peggiore linciaggio della storia americana. Non fu né il primo, né l’ultimo ai nostri danni, ma di sicuro il più feroce. Migliaia di cittadini, istigati dai giornali in combutta con le autorità, si radunarono davanti alla prigione; entrarono di forza e massacrarono undici italiani, accusati ingiustamente di omicidio. I cadaveri vennero appesi ai lampioni e usati per il tirassegno, poi smembrati e portati in giro per la città.
Nei disordini che seguirono, altri italiani vennero uccisi nelle loro case, carretti di ambulanti sfasciati, negozi dati alle fiamme. Giorni interi di anarchia e violenza, con le autorità che restavano a guardare.
Il conto definitivo delle vittime non c’è mai stato, ma furono decine.
Il sindaco Joseph A. Shakspeare dichiarò: “Io vi spazzerò via dalla faccia della terra”.
In merito Theodore Roosevelt, all’epoca presidente della Civil Service Commission (ma dieci anni dopo diventerà presidente degli Stati Uniti), disse: “Era tempo che a quella razza venisse data una lezione”.
Si scatenò un’ondata di isteria collettiva. Voci incontrollate sostenevano che una flotta di navi, con diecimila mafiosi a bordo, era partita dall’Italia per invadere New Orleans. Vennero costituiti corpi di volontari pronti a salpare per l’Italia e contro-invadere Roma.
Si arrivò alla rottura dei rapporti diplomatici Italia-USA per oltre un anno. Alla fine, per chiudere la faccenda, venne offerto un risarcimento di 2.500 dollari alle famiglie degli undici linciati iniziali.
Il clima, tra alti e bassi, rimase in sostanza uguale per gli italiani fino al 1927. Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, attivisti politici e sindacali, erano stati accusati di un duplice omicidio nel 1920: vennero spediti sulla sedia elettrica dopo sette anni di detenzione. Le prove erano inconsistenti e, addirittura, il vero colpevole confessò: Celestino Madeiros, già in galera per altro, si attribuì i delitti, ma non se ne tenne conto. L’ingiustizia fu così evidente che scosse i pregiudizi degli americani nei nostri confronti.
Sacco e Vanzetti – o Nick e Bart, come ormai li chiamava la gente – sono stati poi riabilitati da Michael Dukakis, governatore del Massachusetts, nel 1977, cinquantesimo anniversario della loro morte, durante una cerimonia pubblica.
Il moto di simpatia verso i nostri connazionali ebbe vita breve. L’ascesa di Al Capone a Chicago, dichiarato nemico pubblico n° 1 nel 1930, e di Lucky Luciano a New York andò a rinvigorire i vecchi sentimenti anti-italiani.
Bisogna arrivare alla vigilia della II Guerra Mondiale per vedere cambiare un po’ le cose. Gli USA si preparavano a sbarcare in Europa, Africa e isole del Pacifico, c’era bisogno di soldati per combattere nazisti, fascisti e giapponesi; all’improvviso gli italiani e i loro discendenti diventavano utili. Arruolamento per tutti, se ne riparla a guerra finita.
Dopo il 1945 fa comodo a entrambe le parti metterci una pietra sopra. Nuovi nemici spaventano più dei maccaroni: la Russia di Stalin e il comunismo. Le vecchie questioni irrisolte vengono insabbiate e dimenticate; per gli italiani in America comincia una stagione differente.