Nel lessico famigliare lo ius catering è l’usanza che, a un certo punto della vita e poi per sempre, ti consente di portare a casa, dopo le cene o i pranzi dalla mamma, un pasto quasi completo.
Il privilegio scatta più o meno quando ti sei appena sposata e tua mamma butta là: «Ti do un po’ di arrosto da portare a casa, così domani hai già pronto?».
La volta dopo aggiungerà le patate al forno, poi l’insalata dell’orto. «Due pomodori li vuoi? E queste tre zucchine?».
Anche le suocere non scherzano, la mia mi dava le uova fresche del pollaio. Tante di quelle uova che alla fine non le consumavamo mai freschissime, perché c’erano da finire prima quelle della settimana precedente.
Corsi e ricorsi storici, perché tutto quello che avevo deriso, criticato o compatito benevolmente, si ripete a casa mia con la puntualità rassicurante di un mantra.
E così ho più vaschette e contenitori usa e getta di una gastronomia take away. Non ho le galline: compro le uova dalla Wilma, che ha un pollaio in campagna e mi fornisce anche polli e conigli ruspanti, verdura dell’orto e, talvolta, perfino rose!
E si ripete il rituale: vengono a pranzo, mangiano e portano a casa avanzi nati per avanzare. Che poi non fossero avanzi l’ho capito dopo, e da allora anch’io, se siamo in sette, cucino almeno per nove.
Prima era solo quello piccolo che usufruiva del servizio catering: una porzione di lasagne, una vaschetta di spezzatino, la torta, a volte la macedonia. Il grande disdegnava queste premure da cocco di mamma e lo prendeva in giro: «Ti ha preparato le cose buone la mammina? Te le ha pure masticate?».
Stasera c’è lui a cena da me, con suo figlio, il mio primo nipote. Ho preparato salsiccia e fagioli in umido.
«Mamma, se quelli che sono avanzati li portassi a casa io? Domani saranno ancora buoni?».
Mentre preparo sorrido, perché sento il figlio che lo sfotte: «Papà, ti ha preparato le robine buone la nonna? Te le ha pure masticate?»
Fra non molto passerà a lui lo ius catering di famiglia. Lo spero, anche se io non ci sarò.