Il dibattito presidenziale fra Kamala Harris e Donald Trump ha avuto 67 milioni di telespettatori. Perfino il “New York Times”, che ha sacrificato l’obiettività per nascondere l’involuzione senile di Trump, ha dichiarato: “Harris ha sfruttato la più grande debolezza dell’avversario: il suo ego”. Commento della CNN: “La procuratrice ha umiliato il bullo, cosa che nessun altro era riuscito a fare prima”. Subito dopo il dibattito, la popstar Taylor Swift, con 284 milioni di followers, ha postato il suo appoggio a Kamala Harris, firmandosi “gattara senza figli” (childless catlady), epiteto dispregiativo usato da Vance, il candidato vice di Trump. Immediata e brutale è stata la risposta di Elon Musk, che si è offerto di mettere incinta Taylor Swift!
Prima del dibattito, i sondaggi davano il 54% delle donne per Kamala, il 41% per Trump. Dopo il dibattito, il divario tra i sessi crescerà, mentre l’unico vantaggio che Trump sembra mantenere fra gli elettori è sull’economia, nonostante economisti premi Nobel abbiano messo in guardia dai dazi di Trump sulle importazioni, che provocano inflazione e recessione. Il mito di Trump miliardario di successo è così radicato che ottunde le menti come un’epidemia di oppioidi. Metà dell’elettorato americano è cieco ai danni già fatti da Trump, e al programma generoso di Kamala Harris, tra cui il rimborso fiscale di 50.000 dollari alle piccole imprese. Se c’è un punto su cui Harris mostra competenza è il suo progetto per riscattare la middle class.
Perché Kamala fa della classe media il suo cavallo di battaglia? L’obiettivo cruciale della VicePresidente è una “economia di opportunità” che rafforzi la classe media, a spese del big business. Perché la classe media americana è scesa così in basso da richiedere esenzioni tasse per i figli, aiuto finanziario per comprar casa, calmiere prezzi per medicine e per far la spesa? E quando è avvenuto questo declassamento?
Tom McGrath ce lo spiega nel suo libro, pubblicato a giugno 2024: “Trionfo degli Yuppies: L’America, gli anni Ottanta, e la creazione di una nazione di disuguaglianze”. Il termine “Yuppie” (Young Urban Professional) descrive una generazione di giovani laureati rampanti che voltò le spalle alle proteste idealiste di Beatniks e Hippies degli anni ’60 e ‘70, cercò lavoro alla Borsa di Wall Street e in grandi aziende che davano rapida opportunità di arricchirsi. Andarono a vivere nelle città, inflazionando il mercato immobiliare e conducendo una vita dispendiosa e appariscente. Il trionfo degli Yuppies coincise con il decennio di Ronald Reagan, l’attore diventato presidente con lo slogan: “In America qualcuno può sempre diventare ricco.”
Gli Yuppies non si vergognavano di essere sfacciatamente ricchi e di ostentare il loro status. Volevano vivere “sulla corsia veloce”, senza remore morali, e furono definiti la “ME generation”. La mentalità “Me-First” fece dell’egoismo prevaricatore una virtù. Iniziarono negli anni Ottanta le prime serie TV su ricchissime famiglie: “Dallas” e “Dinasty”. Nel 1987 Donald Trump pubblicò il libro “L’arte di fare affari”.
Dopo la seconda guerra mondiale c’era stata prosperità condivisa fra i gruppi sociali, che avevano visto crescere il loro reddito in misura equa. Negli anni Ottanta cambiò tutto. Sparirono i posti di lavoro nelle fabbriche, che avevano permesso ai lavoratori di far passare i propri figli alla classe media attraverso l’istruzione superiore, molto costosa in America. Apparvero le prime “Rust Belt towns” (città della Cintura di Ruggine, per le fabbriche abbandonate). Negli anni Ottanta, le famiglie di classe medio-bassa subirono un calo del reddito dell’80%, mentre il reddito dell’un percento dei super-ricchi crebbe del 50%. Quale fu la causa di un tale collasso della classe media?
A creare la più grande disuguaglianza di reddito del Novecento in America fu la politica di sfrenato corporate capitalism adottata da Reagan (“Reaganomics”). Reagan lanciò la sua campagna nel 1980 sostenendo la “trickle-down economy”, teoria secondo cui i ricchi, resi più ricchi da tagli alle tasse, spenderanno di più e il loro denaro “sgocciolerà” nella società, arricchendo tutti. In realtà Reagan abolì i regolamenti che proteggevano la società dagli abusi dei capitalisti (deregulation), tagliò le tasse ai ricchi e ne fece pagare il costo a tutti gli altri. L’economia frenetica di quel decennio fu definita “binge economy”. Binge sta per “abbuffata”, “baldoria”. La sempre più ampia frattura economica tra gli Yuppies materialisti e la classe media impoverita provocò un rancore contro le élites che perdura da quarant’anni.
I fatti hanno dimostrato che il taglio delle tasse ai ricchi non ha alcun benefico effetto sul reddito pro capite o sull’occupazione, anzi, riduce la crescita economica e aumenta il deficit federale. Reagan sconfisse i sindacati, lasciando senza difese gli operai. Il salario minimo crollò. I tagli della spesa per i servizi sociali e per l’edilizia popolare resero il problema dei senzatetto ben visibile nei centri urbani. Reagan commentò che i senzatetto sceglievano di stare là fuori e che erano “mentalmente ritardati”. Il cinismo sfrontato, l’ipocrisia e la crudeltà mascherata sotto un bombardamento di menzogne fu l’eredità lasciata da Reagan al partito Repubblicano. Margaret Thatcher fece altrettanto in Gran Bretagna, e dopo aver gabbato per 40 anni la classe media e operaia, vedete che fine ha fatto il suo partito.
La Reaganomics danneggiò tutti i gruppi sociali senza istruzione superiore, ma il prezzo psicologico sui lavoratori bianchi fu peggiore, perché le loro aspettative di miglioramento erano più alte di quelle della gente di colore. I lavoratori bianchi che non riuscivano più a trovar lavoro non davano la colpa al laissez-faire del governo, davano la colpa a se stessi. Ancor oggi, non vanno a votare, o sostengono proprio quei Repubblicani ostili a qualsiasi progetto che risollevi la loro sorte. I bianchi poveri, soprattutto del Sud, sono definiti “white trash” (spazzatura bianca) perché poco istruiti, rozzi, razzisti.
Nel 2022 Lily Geismer ha pubblicato il libro “Left Behind” (lasciati indietro). Geismer sostiene che i proletari bianchi sono vittime della politica neo-liberal dei Democratici. Ma è stata la Reaganomics repubblicana a creare l’America divisa e diseguale di oggi. Bill Clinton, negli anni Novanta, cercò di far fronte alla disuguaglianza e alla povertà applicando la microfinanza (piccoli prestiti a piccoli industriali nelle zone povere del paese). I Repubblicani in Congresso fecero un’opposizione feroce anche a maggiori tasse ai ricchi e all’aumento del salario minimo. Per salvare Medicare e Previdenza Sociale, Clinton dovette affrontare due “shutdown” (blocco) del governo federale orchestrati dalla maggioranza repubblicana alla Camera. Ma ciò che rese odioso Clinton ai declassati fu l’accordo NAFTA, che dislocò molti posti di lavoro e fabbriche in Messico. L’attenzione dei Democratici per i diritti civili dei neri permise al partito Repubblicano di formare una maggioranza giocando sul risentimento dei bianchi poveri verso le “pretese dei Negri”.
Dopo Clinton, George W. Bush aumentò ancora il taglio di tasse ai ricchi e il numero dei poveri ebbe un’ulteriore impennata, con crescente indebitamento della classe media e disperazione alla vista della ricchezza sfacciata degli altri. A pagare il prezzo furono di nuovo gli Stati della Cintura della Ruggine (Pennsylvania, Indiana, Michigan, West Virginia), che continuano a votare per i loro carnefici. Barack Obama riuscì a vincere alcuni di questi Stati nel 2008, ma nella crisi del 2008-2009 dovette fare un enorme trasferimento di ricchezza per soccorrere le banche e i super-ricchi dal tracollo, a scapito degli “underdogs” (sfavoriti, perdenti, emarginati). Fu allora che molti disperati bianchi senza istruzione lasciarono il partito Democratico e nel 2016 votarono per Trump. Senza gli operai bianchi della Rust Belt, Trump non avrebbe vinto. Molti lo votarono per vendicarsi dell’élite democratica che aveva eletto “un negro” alla Casa Bianca e candidava Hillary, una donna!
Ora Kamala Harris cerca di riconquistare gli Stati della Rust Belt e gli “underdogs” con la politica, già iniziata da Biden, di finanziarli e proteggerli, facendo scendere l’inflazione a minimi storici. Le misure economiche di Kamala, come i 25.000 dollari di anticipo per l’acquisto della prima casa e 6.000 dollari di rimborso fiscale per ogni figlio, sono state criticate come populiste, ma sono necessarie a far risorgere la sola classe che, storicamente, è sempre stata garante di democrazia.
Come ha fatto Trump, ricco magnate immobiliare di New York, falso Yuppie senza laurea né talento, millantatore e impostore, a conquistare i lavoratori bianchi? Giocando la carta razzista contro gli immigrati, definiti “bad hombres”, stupratori e terroristi. I maschi bianchi senza istruzione sono diventati il suo esercito MAGA, che disprezza i laureati super-qualificati come Hillary Clinton, Obama, e Biden. Appena eletto, Donald Trump ha applicato la Reaganomics in modo dissennato (quasi 8 trilioni aggiunti al debito nazionale). I Repubblicani non ammetteranno mai che i programmi di Reagan sono stati catastrofici per la nazione. Il canale televisivo Fox News inganna da trent’anni la fetta di popolazione più vulnerabile e meno istruita, facendole credere che Trump sia il paladino dei dimenticati, perché è ignorante come loro, razzista come loro.
Kamala Harris ha ricevuto l’appoggio dei sindacati, ma riuscirà a far tornare la classe lavoratrice sotto le bandiere democratiche? Ne dubito. Conto più sulle mogli dei MAGA e dei Repubblicani che, spaventate da una Corte Suprema decisa a privarle di ogni diritto acquisito, potrebbero fare la differenza nelle elezioni di novembre. Gli incontrollati sproloqui maschilisti di Trump e Vance stanno insultando molte donne. Gli uomini bianchi in America sono il 30 % della popolazione. È una minoranza privilegiata: sono maschi bianchi i due terzi dei funzionari pubblici, nonostante ci siano più donne laureate che uomini. Forse per questo Trump vuole abolire il Ministero della Pubblica Istruzione, e Vance vuole che le donne restino sempre incinte. L’ingiustizia secolare, la disparità salariale, fa delle donne un enorme gruppo elettorale indignato.
Che i tempi stiano cambiando lo dimostra l’ultraconservatrice Liz Cheney, figlia del vicepresidente di Bush, che ha sorpreso tutti definendo Trump e Vance con un epiteto usato dalle femministe di 50 anni fa: “male chauvinist pigs” (maiali maschilisti!).
molto interessante; chiaro e sintetico. Da confividere per informare i più.
È un quadro della situazione americana (ma da noi come stiamo?) agghiacciante ma lucido e preciso.
Siamo fiducia alle donne!
Grazie come sempre a Patrizia Tenda
Bel prospetto chiaro, conciso e, direi, completo della situazione statunitense. Gli scricchiolii del baraccone neoliberista sono ormai un rumore di fondo così alto che è diventato impossibile ignorarli, solo che nessuno ha veramente il coraggio di dire che il re è nudo, nel timore di sentirsi chiedere “E allora, che suggerisci di fare?”
Abbandonati a se stessi sul ponte del Titanic i passeggeri smarriti si affidano a qualunque ciarlatano o malfattore si metta a sbraitare. Non solo negli USA.
temo solo che gli scricchiolii non preludano a un crollo dell’occidente con i suoi difetti ma con le sue libertà. Trump è gemello di Putin..
chiarissimo, Patrizia, grazie. L’ignoranza e l’arroganza accecanti!!!