Stavo rassettando la cucina cercando di non pensare a niente. Per strada qualcuno suonava un flauto; una di quelle melodie che è meglio non sentire quando è notte e si è soli. Il dolore si è insinuato nel mio petto, così vigoroso che respiravo appena. La zuccheriera di porcellana è finita sul pavimento, scheggiandosi in molti pezzi. «Oh no, la zuccheriera di nozze!» ho strillato tremante, poi la voce mi si è rotta in un pianto.
In fondo alla via una ragazza giapponese ha da poco aperto una bottega. Riparazioni di vasellame: la bellezza nel difetto, dice l’insegna. L’indomani, dopo una notte insonne, ho bussato.
Saiko mi ha aperto con gli occhi sereni e ha cominciato a saldare fra loro i frammenti, lasciando colare, lungo le crepe, l’oro liquido.
«Ma si vedrà che è rotto» le ho detto.
Mi vergognavo delle ferite, dell’integrità perduta della porcellana. Pensavo: se è rotto è colpa di qualcuno.
Saiko mi ha carezzato la mano e ho avuto la sensazione che mi conoscesse profondamente.
«La vita è integrità e rottura insieme» mi ha sussurrato in maniera così dolce che sembrava stesse cantando. «La tua zuccheriera ora ha una storia ed è più bella. Il dolore ti insegna che sei viva, il solco che lascia deve essere valorizzato.» Rigiro la mia nuova zuccheriera tra le dita, impreziosita dalle nervature in oro che formano un intreccio irripetibile, ed è incantevole.