Una volta c’era la Jugoslavia, vi ricordate Tito? Poi la terribile guerra, lo smembramento e il ritorno alla parcellizzazione delle origini. Nello scontro, nelle violenze, nei morti, in tanti sono scappati e hanno cercato rifugio, compresi due kosovari che con le famiglie si sono ritrovati in Svizzera.
Giocano a calcio e sono bravi, due talenti che memori del primo esodo hanno continuato a girare per l’Europa. Ma sono diventati svizzeri, e adesso difendono i colori della nazionale elvetica a suon di gol.
Non sono certo i primi, le nazionali presenti ai campionati del mondo in Russia sono strapiene di calciatori che hanno tutti i colori della pelle e genealogie lontane, frutto di migrazioni di prima e seconda generazione.
Basta guardare i loro visi per capire come il mondo sia aperto, basta osservare la mescolanza tra i titolari di Francia o di Inghilterra tra bianchi e neri per accorgersi che certi discorsi retrivi e orribili non abbiano alcun senso oggi.
Shaqiri e Xahka però, esuli kosovari in terra neutra, hanno giocato nella loro Svizzera contro la Serbia, il grande oppressore, il nemico troppo recente e indimenticabile.
Ai loro gol hanno esultato nello stesso modo, braccia incrociate sul petto a formare le ali di un’aquila, un’aquila albanese. Hanno rivendicato una vittoria sportiva personale ricordando un popolo.
Qualche compagno li ha appoggiati, altri, compreso l’allenatore, hanno dichiarato che gesti politici non si devono vedere. Intanto la Svizzera passa il turno dei mondiali e lo deve a loro, e loro due nel loro piccolo hanno cacciato fuori la Serbia.
Migrazioni Mondiali di calcio Radici