Ho comprato una stampante 3D. Mi serviva. È ingombrante, ma in casa c’è posto. Funziona così: tu crei un modello – con uno scanner, con un modellatore tridimensionale – e poi lei lo stampa. Ho iniziato stampando il mio gatto. Passarlo allo scanner è stato complicato. Ho dovuto incollarlo al pavimento, ma poi è venuto benissimo. L’ho messo sul comodino e adesso è lì, silenzioso, che mi osserva mentre leggo SoftAir Magazine o guardo Megastrutture in TV. Poi ho pensato a lei. Lei è la mia vicina. Mi piace ma non gliel’ho mai detto. Però le ho fatto tante foto. Lei non lo sa, ma dalla finestrina bassa che ho in soffitta vedo nel suo bagno. Non vedo molto: di solito piedi e ginocchia, se sono fortunato una coscia. Ma il resto me lo immagino,perché di lei ho tante altre foto: per strada, sul balcone, al lavoro, quando sta seduta alla cassa del supermercato. Così disegno un suo ritratto e da un amico mi faccio fare un modello con un software 3D. Poi lo metto nella stampante e lei viene fuori. Non immaginavo venisse così bene. Adesso è di là, stesa sul letto, sotto lo sguardo immobile del gatto. Di conseguenza manco solo io. Mi riprendo con lo scanner 3D e poi mi stampo. Mi poso accanto a lei. Esco di casa e vado dalla mia vicina. Suono alla porta. Lei apre coi capelli spettinati, la vestaglia, lo smalto delle unghie rovinato. Di là, a casa mia, è tutto perfetto. Io e lei non serviamo più. La spingo sul terrazzo. Mentre cadiamo sono obbligato a stringerla.