Immaginate di poter tornare indietro nel tempo, di poter rivivere periodi topici della vostra esistenza, con gli stessi ambienti ricostruiti e gli stessi protagonisti di allora, voi compresi. Fantascienza? No, se vi affidate a una avveniristica agenzia, la “Tour Traveller”, che mette in scena a vostro piacimento e dietro lauto compenso, il vostro passato. Victor, ex-disegnatore e artista disoccupato, vive una esistenza infelice, stretto com’è tra una consorte fascinosa e prepotente, un figlio ricco e famoso e tutti gli ingranaggi della vita moderna che subisce di malavoglia.
L’agenzia gli mette a disposizione epoche storiche diverse ma lui sceglie il 1974, anno in cui ha conosciuto sua moglie Marianne.
In un “the way we were” singolare, in cui tutto è identico eppure diverso, Victor, un panciuto e ingrigito Daniel Auteuil, è l’unico a interpretare la parte di se stesso mentre tutti gli altri sono comparse. Ma l’atmosfera della “Belle époque” – il bar in cui lui e Marianne si erano incontrati è la stessa: i ragazzi barbuti con i pantaloni a campana e le ragazze in minigonna. Allora si sapeva – pensa nostalgico Victor – che da una parte c’era la Destra e dall’altra la Sinistra, e le persone, invece di sbirciare il cellulare, si guardavano negli occhi quando andavano fuori a cena.
In un andirivieni tra un presente sempre più angusto e un passato finto ma coinvolgente, i piani si confondono ma aiutano a una rinnovata sinergia all’interno della coppia. Marianne, una scoppiettante Fanny Ardant, è sempre lei, “la signora della porta accanto“, che nonostante le rughe seduce ancora con quella testa reclinata spavaldamente all’indietro e lo sguardo ammiccante (unica pecca, il doppiaggio). Il regista Nicolas Bedos torna come nel film precedente, “Un amore sopra le righe“, al tema dei sentimenti che si usurano nel tempo e lo fa con lievità, in un crescendo di divertissement. La musica che si sprigiona dal juke box – tra tutte, le canzoni struggenti di Janis Joplin – ti riporta indietro a quei tempi, la Belle époque di chi quegli anni li ha vissuti davvero. E il film continua a riavvolgersi nella testa anche quando sei fuori dalla sala.
L’agenzia gli mette a disposizione epoche storiche diverse ma lui sceglie il 1974, anno in cui ha conosciuto sua moglie Marianne.
In un “the way we were” singolare, in cui tutto è identico eppure diverso, Victor, un panciuto e ingrigito Daniel Auteuil, è l’unico a interpretare la parte di se stesso mentre tutti gli altri sono comparse. Ma l’atmosfera della “Belle époque” – il bar in cui lui e Marianne si erano incontrati è la stessa: i ragazzi barbuti con i pantaloni a campana e le ragazze in minigonna. Allora si sapeva – pensa nostalgico Victor – che da una parte c’era la Destra e dall’altra la Sinistra, e le persone, invece di sbirciare il cellulare, si guardavano negli occhi quando andavano fuori a cena.
In un andirivieni tra un presente sempre più angusto e un passato finto ma coinvolgente, i piani si confondono ma aiutano a una rinnovata sinergia all’interno della coppia. Marianne, una scoppiettante Fanny Ardant, è sempre lei, “la signora della porta accanto“, che nonostante le rughe seduce ancora con quella testa reclinata spavaldamente all’indietro e lo sguardo ammiccante (unica pecca, il doppiaggio). Il regista Nicolas Bedos torna come nel film precedente, “Un amore sopra le righe“, al tema dei sentimenti che si usurano nel tempo e lo fa con lievità, in un crescendo di divertissement. La musica che si sprigiona dal juke box – tra tutte, le canzoni struggenti di Janis Joplin – ti riporta indietro a quei tempi, la Belle époque di chi quegli anni li ha vissuti davvero. E il film continua a riavvolgersi nella testa anche quando sei fuori dalla sala.
La Belle époque – di Nicolas Bedos – Francia 2019