Più che un’infermiera era una guerrigliera. Entrava in casa come quelle folate di vento improvvise che fanno sbattere tutte le porte. Buttava la borsa sul tavolo e si dirigeva dritta in bagno. Lì trovava l’occorrente per l’iniezione che preparavo per tempo in modo che potesse fare tutto il prima possibile. Nel suo lavoro era brava e coscienziosa, ma per il resto era una furia. Finita la pratica se ne andava in fretta pestando il pavimento con i suoi stivali da truppa d’assalto.
Ero ricorsa a lei saltuariamente, ma ora che la cura si prevedeva più lunga avrei dovuto vederla spesso e la cosa non mi esaltava. Ogni volta che si avvicinava l’ora dell’appuntamento mi mettevo in agitazione. Accade spesso, infatti, quando si è malati, che si viva in una realtà alterata e che il tempo rallenti in attesa della guarigione e lei veniva a distogliermi da quel torpore. Entrando in casa con il suo impeto infrangeva il silenzio portandosi dietro il mondo esterno e soprattutto portando con sé la sua rabbia. Era una rabbia antica di cui non riusciva a fare a meno.
Si accendeva d’ira raccontando di episodi futili che le erano capitati e ogni piccolo contrattempo era motivo di
rimostranza contro il mondo intero e la stessa smorfia amara, poi, la manteneva anche quando parlava di cose piacevoli. Aveva frequentato così a lungo la rabbia che ormai ne era prigioniera.
Passò un mese e finalmente arrivò l’ultimo giorno di cura e quella mattina per ringraziarla le avevo preparato un regalo, una pianta speciale che amavo molto, la calatea. Nel consegnarla nelle sue mani le dissi: “Questa ti farà compagnia, vedrai, la sera chiude le foglie come per darti la buonanotte e la mattina la troverai con tutte le foglie aperte che ti daranno il buongiorno; infatti…”- stavo ancora parlando quando mi accorsi che non ascoltava più e vidi che i suoi occhi si erano riempiti di lacrime.
Toccò una foglia come se fosse di cristallo e sfiorandola appena sussurrò fra i denti: “Neanche un fiore mi ha mai regalato quel bastardo” e una lacrima rotolò libera lungo la guancia. La guardò ancora per qualche istante, poi, come svegliandosi da un brutto sogno, alzò gli occhi verso di me, si avvicinò e tirandomi a sé mi schioccò un bacio sulla guancia premendo forte le labbra. “Grazie tante”- mi disse- “ora però devo andare, mi chiami quando ha bisogno” e riprendendo l’irruenza di sempre infilò la porta e se ne andò.
Due giorni dopo nel mio telefono arrivò un suo messaggio, era una foto che la ritraeva accanto alla calatea con lei che ne teneva in mano una foglia come per farle fare ciao e c’era scritto: “E’ proprio vero che saluta!”; nel vederla mi scappò un sorriso e anche lei per la prima volta mi sorrideva.

Una pianta di calatea
che bello!
Grazie Amelia!
Bellissimo. Una lacrima è scappata anche a me.
Grazie Laura!
Davvero bello, in poche parole una vita intera di una persona che prende a pugni la vita e l’animo gentile di chi ha capito..
Grazie Loana!
Un finale bellissimo!!!
Grazie Rocchina!
Racconto commovente. L’impeto e la rabbia di chi ha vissuto il dolore, la tenerezza e la comprensione di chi sa accoglierlo.
Grazie Susanna!
Che bel racconto, tutto il sentire in poche, perfette parole! Grazie
Grazie Valeria!
La Calatea. Per me e’ sempre stato un caso di “toujours vu,” una cosa che si vede cosi spesso che non la si nota piu’. Ora, grazie a questo bel racconto, la notero’ ogni volta che la vedo controllando, dallo stato delle foglie, da quant’e’ che si e’ risvegliata.
Grazie
Molto bello
Bravissima Simonetta! In poche, scorrevoli righe sei riuscita a tratteggiare tanti stati d’animo diversi
Grazie Antonietta!!
Grazie Daniela
molto bello, e belli commenti di chi ha letto
Vero, bellissimi commenti.