Credo di essere vecchio. In un tempo lontano percorrevo grandi distanze, m’inebriavo del vento e sfidavo il mare senza paura. Nelle notti più calme stavo fermo sotto la luna in attesa che un’onda mi accarezzasse, poi ripartivo l’indomani e ogni luogo era possibile.
Oggi è diverso, non faccio che percorrere ogni giorno la stessa, breve strada. Al mio fianco ci sono altri uguali a me, altrettanto vecchi, suppongo. All’inizio scambiavamo qualche parola. Ormai non parliamo quasi più, perché siamo sempre gli stessi e siamo certi che ci rivedremo poco dopo. Non sappiamo mai se stiamo partendo o ritornando. Siamo tanti, ma siamo soli. Qualche forza esterna ci muove, non so cosa sia, l’abitudine o qualcosa di simile. Mi sembra di percorrerla anche più volte al giorno, la mia strada, senza rendermene conto. Non saprei dire cosa mi sia successo, né quando. Ero in volo e ora sono qui, dove l’aria è chiusa e immobile. Forse ho capito, non sono vecchio, né sono mai stato giovane. Nemmeno nell’altra vita, quando credevo di essere io a decidere il mio percorso, invece erano il vento, la corrente, le mani. Eppure mi credevo libero, mentre attraversavo oceani e deserti, o forse erano spiagge e pozzanghere. Non ho mai avuto il senso delle proporzioni, né del tempo. Per questo trovo ironico che sia io ora a scandirlo. Ecco, non sono giovane né vecchio, forse non sono nemmeno vivo. Misuro il tempo della vita degli altri. Nessuno penserebbe mai che un granello di sabbia in una clessidra possa avere dei ricordi.