La cugina francese

Antoinette, la cugina francese, viene a pranzo.

Mia mamma, in cucina, sbatte le uova per il Pan di Francia e una Zuppa Santé che raggiunga la perfezione. Un pot au feu, molisano, che sbalordirebbe anche Paul Bocuse a giudicare dal profumo che manda.

Mia sorella indossa una taglia trentotto, stretta che quasi non respira, ma così sembra Carla Bruni, anzi Brunì. Mi auguro non si finirà, come l’ultima volta, a parlare di Sarkozy, Vincent Cassel e Monica Bellucci o peggio ancora di bidè, anzi di bidet.

In sottofondo Paolo Conte canta all’Olympia di Parigi «un gelato al limone, gelato al limone». Mio padre lo imita: «Un sorbet citron, sorbet citron», traducendo in omaggio all’ospite, e intanto viene fuori dal retrocucina, euforico. Ha in testa una feluca, in una mano la sciabola da sabrage e nell’altra un Franciacorta che se fossimo a Parigi sarebbe Champagne. La decapitazione è da manuale e Antoinette si lascia scappare un sospirato «Vive la France, vive la révolution!», e un applauso, contenuto, in perfetto stile francese.

Caro, ti trovo bene, mi dice, mi ricordi Depardieu. In effetti ho preso qualche chilo, rispondo. Lei non coglie l’ironia e resta seriosa. Vi ho portato un regalo dalla Francia, annuncia.

Una miniatura della torre Eiffel che mia mamma sistema accanto ad altri quattro esemplari della stessa torre, ricevuti in regalo sempre dalla cugina, uno per ogni sua visita.

La tivù parla dei profughi bloccati sugli scogli a Ventimiglia. Antoinette si domanda cosa vadano cercando in Francia: che mangino brioches.

Finito il pranzo, dopo una foto ricordo, un taxi se la porta via, ci saluta sventolando un fazzoletto bianco. I francesi non ridono, neanche in posa.

Mia sorella mette una tuta comoda, mia mamma sostituisce le torri con un solo, grande Colosseo, Paolo Conte canta «Bartali», mio padre lo imita con «i francesi che s’incazzano», io cucino spaghetti al pomodoro infischiandomene di cosa penserebbe Paul Bocuse. 

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