La domenica con Gabriella Ferri

Non ho ricordi d’infanzia: cancellati, spariti. Qualche reminiscenza torna quando sfoglio l’album delle foto da piccola. Ero una bimba buffa. Ho una foto con il babbo che mi teneva in braccio in terrazzo, entrambi sorridenti. Io in gonnellina nera e maglioncino bianco, infagottata e cicciotella, il babbo al solito elegante come un gagà. Ogni sera, quando tornava dal lavoro, nascondeva delle caramelle in tasca e io le dovevo trovare. Le potevo mangiare solo se ero stata brava, almeno questa era la teoria di mamma, ma lui me le dava lo stesso, per riempire il senso di colpa dovuto alle assenze. Eravamo una famiglia nomade a causa del suo lavoro, ci si spostava spesso, con tutta la difficoltà di farsi e mantenere le amicizie. In una foto rido, bella paffuta, in riva al mare con secchiello e paletta e cappellino. Certo che ridevo, fosse stato per me sarei stata sempre al mare, dentro l’acqua, un pesciolino felice. Poi però venivo richiamata all’ordine e, con poca voglia, obbedivo: ero una bambina docile. Non ho avuto genitori teneri ed espansivi. Il ruolo di cerbero lo doveva fare la mamma, poiché babbo era sempre in giro; con quattro figli, tre femmine e un maschio, non poteva fare altro. Lei era maestra elementare e conservava anche a casa la stessa autorità che aveva in classe, con lei non volava una mosca. Fortunata me che non sono stata sua alunna.
Memorie che tornano all’improvviso. Per il babbo la domenica era destinata alla famiglia: aveva la Pallas ds, ammiraglia della Citroen. Il primo rito: ci caricava in macchina, la metteva in moto e la macchina piano piano iniziava ad alzarsi. Uno spettacolo. Quanto mi sentivo principessa!
Il secondo rito: infilava nel mangianastri la cassetta di Gabriella Ferri, che diventava per tutto il giorno la nostra colonna sonora. Inoltre il Babbo aveva una passione per la cucina. Era un buongustaio e anche un grande cuoco. Lui, senza guide turistiche, solo con il suo fiuto da tartufaro, andava per ristoranti. Ne girava parecchi, dopo averne annusato l’odore ─ un po’ alla Poirot  ─, sentito l’atmosfera e il calore dell’ambiente decideva per uno, e quello diventava il nostro ristorante domenicale. Era capace di fare due-trecento chilometri e non transigeva, a quel ristorante si andava. Ne ricordo solo uno, al Lido Di Camaiore, rammento persino il cameriere, con baffetti e sorriso smagliante. Il babbo faceva lo splendido, lasciava mance da restare ammutoliti, ecco il perché del sorriso. Il mio menù non si scriveva, perché era sempre lo stesso: spaghetti al ragù, sogliola alla mugnaia e patatine fritte.
Appena si ripartiva, babbo infilava di nuovo la cassetta di Gabriella Ferri nel mangianastri, e per tutto il giorno Gabriella era la nostra colonna sonora. Le so tutte, tutte quante, non le scorderò mai, soprattutto “Le Mantellate”: così triste, piena di dolore e d’infamità… Già paffutella e sensibile da piccola, che fortuna.
Le Mantellate so’ delle suore A Roma so’ soltanto celle scure Una campana sona a tutte l’ore Ma Cristo nun ce sta dentro a ‘ste mura.

 

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