La donna elettrica

L’Islanda, si sa, è un paese molto speciale, estremo nei paesaggi, abitato da esseri umani essenziali fino alla rudezza ma contemporaneamente consapevoli e gentili. Un paese con il più alto tasso di lettura europeo, aperto a tutte le nuove tecnologie ma profondamente ancorato alla propria terra e alle tradizioni. Un ossimoro vivente risolto all’insegna della democrazia, della parità dei sessi e dell’etica.
In Islanda ci sono ottimi scrittori, ottimi musicisti, ottimi registi. Il cinema islandese ci ha offerto negli anni film ironici e spiazzanti, pieni di umanità e poesia del freddo. La conferma di questo filone felice viene anche da Woman at war, titolo originale di La donna elettrica, diretto da Benedikt Erlingsson e interpretato con sobrietà e intensità da Halldóra Geirharðsdóttir.
La quarantenne Halle è una donna single, maestra di coro che gira Reykyavik in bicicletta, fa Tai chi, è educata e gentile. Nulla fa sospettare che sia lei l’arciere che con un tiro perfetto fa crollare i fili dell’alta tensione, quelli che servono a un’industria cinese per impiantare fabbriche e distruggere il paesaggio.
La polizia lo considera un atto di terrorismo e viene mobilitata alla caccia dei colpevoli, ne fa le spese un povero ciclista sudamericano in vacanza, con elicotteri e droni che setacciano l’immensa nudità della vastità islandese. Halle, agile come un gatto, riesce sempre a nascondersi, grazie anche all’aiuto di un burbero pastore che la accoglie, scoprendo di avere antenati in comune.
La guerra di Halle ha oltrepassato il limite ma lei non demorde nell’asprezza della solitudine, perché lei la sua terra la ama di una compenetrazione che la porta a sdraiarsi e abbracciarla, baciarne il muschio, fondersi con il suo battito. Quando, all’improvviso, riceve l’accettazione di una domanda di adozione fatta anni prima, di una bambina ucraina rimasta orfana, Halle è dilaniata e chiede aiuto alla sorella gemella, insegnante di yoga che sta per partire per un ashram in India.
E qui ci fermiamo, perché gli accadimenti, già molto particolari, diventano imprevedibili. Alla stranezza e alla sensibilità della trama si aggiungono elementi surreali che appartengono alla sfera del soprannaturale in cui tutti gli islandesi credono: le peripezie di Halle vengono accompagnate dalla comparsa di tre bizzarri giovani musicisti che suonano una musica di rimbombi del sottosuolo, alternati a tre ragazze ucraine in costume che intonano dolci nenie.
Nulla, nel cinema islandese, procede secondo schemi consolidati, e anche La donna elettrica si discosta da ciò che siamo abituati a vedere, a meno che non si abbiano occhi aperti allo stupore e uno sguardo nuovo alle cose del mondo.

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