La facoltà di togliersi la vita

Abito al quarto piano. Ho l’uso di gambe e braccia. Volessi morire, non avrei bisogno dell’autorizzazione di nessuno. Basterebbe scavalcare il parapetto. Non ho intenzione di farlo – non vorrei mai che le persone che amo ricevessero da me ciò che mia madre mi ha dato. Dopo il suicidio della mia dolcissima amica Pupa – pochi mesi dopo mia madre – una sera urlai “IO NO, IO NO! IO NO”, scolandomi una bottiglia di vodka. Lo urlai a un impulso di morte che mi mangiava da dentro. Da allora ho sempre mantenuto la promessa: mai, neanche un tentativo sfiorato, mai nonostante il pensiero sempre presente, il dolore senza fine. In fondo, proprio il sapere di averne pur sempre la facoltà, mi ha aiutata a resistere – mi sentivo libera. Parlo di una facoltà fisica, non di un diritto, ma nessuno ce la può togliere.
Gli unici a non avere la facoltà di togliersi la vita sono proprio coloro che ne avrebbero bisogno, potendo: avvolti dal dolore fisico, immobilizzati. In un buio senza fine né speranza. Ma la legge italiana è contro l’eutanasia e il suicidio assistito – anzi, durante il fascismo, togliersi la vita era proibito. Mi sono sempre domandata quale mai fosse la punizione.
Per i vescovi vivere è un dovere. Ma non ascolto certo loro, non credo in un dio feroce. Nello stesso tempo eutanasia e suicidio assistito non mi piacciono, non mi esaltano, non sono radicale, non sono come quel noto medico fiorentino – seguace di Pannella – che corteggiava compiaciuto la morte – e se la procurò. Ma, per i viventi sani, la pietà per chi soffre sì che è un dovere.
Mi è chiaro che la nostra vita non appartiene solo a noi stessi – io ODIO il suicidio, perché la maggior parte dei suicidii sono manifestazioni di odio onnipotente verso chi resta. Il male che mi hanno fatto coloro che hanno scelto la morte durante la mia vita è incommensurabile. A volte li ho immaginati immaginare di assistere ai propri funerali, e guardarci agghiacciati, immoti, chiusi nel dolore. O annegati dalle lacrime. L’urlo della figlia di Angela, all’obitorio, non lo dimenticherò mai. Io credo che anche la signora Welby, Mina, abbia sofferto atrocemente per la morte scelta dal marito, che pure lei ha accettato con grande forza e amore. Eppure…
Ecco, ho scritto per dire solo questo: che credo sia giusto fare una legge pietosa e umana, nel rispetto di ogni dolore, che renda anche a chi non l’ha più, la facoltà di togliersi la vita. Lo credo con sofferenza, contro il mio istinto, ma con la mente e il cuore. E ringrazio Marco Cappato e DJ Fabo che mi hanno portata a capirlo.

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