Oggi sono proprio contento. C’è il sole, mi sento in discreta forma, non ci sono cattive notizie in vista.
Per questo voglio parlarvi della festa più brutta del mondo. Beh, almeno tra quelle cui ho partecipato di persona, dico.
Dunque, il drone scende dall’alto, svolazza nel cielo toscano per poi restringere il suo campo d’azione tra Maremma e Versilia, puntando dritto su una villetta bianca, seminascosta tra i pini, in un dedalo di stradette verdeggianti. Il ragazzotto che si avvicina, solo e un po’ incerto, alla porta d’ingresso della villetta sono io.
Il drone non serve più, lo lasciamo planare verso il mare, libero e bello come tutti i droni non costretti a bombardare città nel mondo, mentre io, sempre più ansioso, premo esitando il campanello.
Non mi risponde nessuno per cinque minuti buoni, sarà la casa sbagliata? Torno indietro per il vialetto, meglio controllare il civico, ma intanto la porta si apre. Accompagnata da una canzone di Baglioni, una moretta in minigonna e capelli con la riga in mezzo tipo Cher mi scruta perplessa.
Sta pensando: “ E questo chi è, di certo l’ha invitato quell’idiota di mia sorella, vabbè mica posso mandarlo via.” Invece cinguetta un “ciaaao, entra, tu sei…?” prima di scomparire, risucchiata in una nuvola di risate abbastanza sguaiate, senza che io abbia fatto in tempo ad aprire bocca.
A questo punto va descritto il mio abbigliamento, che definire incongruo è un atto di generosità immeritata: in pieno luglio, pantaloni di fustagno verde cupo su mocassino probabilmente nero. Calze bianche e camicia bianca con arabeschi marroni a disegno geometrico, forse esagonali. Accessori: capelli castani, lunghetti ma non abbastanza da risultare trasgressivi, occhiali da vista finto rayban con lenti brunite.
Altezza media, forse da piazzamento per un posto in Coppa Uefa; spalle strette, torace poco sviluppato. Nell’insieme, non un granchè.
Entro: non conosco nessuno. La sorella della padrona di casa mi fa un cenno di saluto distratto, è troppo impegnata a gestire il cambio dei dischi tenendosi contemporaneamente una mano a coprire l’apparecchio dei denti. Su un tavolo, pizzette, Coca e Fanta. Al di là di un tramezzo, probabili genitori all’erta per ogni evenienza.
Mi rendo conto con raccapriccio che è in corso una specie di gioco delle coppie. Consiste nella scelta, insindacabile da parte delle ragazze, tutte più o meno bellocce e sicure di sé, del cavaliere per il lento di Battisti appena partito dal giradischi. Noi maschi lì, tappezzeria in attesa della chiamata in paradiso. Giochi di sguardi, battute sceme. Nervosismo malcelato.
Il finale è di quelli che non vorremmo mai raccontare. Resto praticamente ultimo in lizza, il mio sexy appeal è in tutta evidenza da zona retrocessione, posso aspirare al massimo allo spareggio-salvezza. Che peraltro perdo, contro un biondo tarchiato dall’ espressione bovina ma col vantaggio di essere conosciuto dalla cricca. Mi stanno per spuntare le lacrime, devo stringere i denti, forse avrei dovuto accusare un mal di pancia improvviso e rifugiarmi nel cesso, evitando gli ultimi, tragici minuti di una festa davvero indimenticabile.
All’ ultimo secondo, la sorella della padrona di casa dimostra di possedere un barlume di sensibilità e mi invita lei a ballare sulle ultime note di “Emozioni”. Salvo ai supplementari.
La festa più brutta del mondo finisce così. Una sorsata di Fanta stempera l’ amaro calice, poi di corsa a casa a preparare strategie per un futuro migliore. Obiettivo Champion’s League.