La freccia venne inventata, fatta di pietra scheggiata, legata a un legnetto levigato, scoccarla era un’arte, una sopravvivenza. L’arte era sopravvivenza. Senza la freccia e la sua arte si veniva sbranati, si moriva preda di belve o di stenti. Era anche una regola: non uscire mai dalla caverna, non avventurarsi nelle insidie del bosco intricato, pieno di piccoli e grandi animali, insidiosi e feroci, e non lasciare il sentiero battuto da altre orme, privo della freccia. Tirarla era precisione, senza esitazione e ritardi: un attimo dopo poteva essere fatale. Ma non scagliarla e scappare a gambe levate, era una vera e propria vigliaccheria. La padronanza della direzione della freccia significava il rispetto altrui. La certezza dell’atto equivaleva al prestigio e alla stima.
Lo ricordo a te, sì proprio a te, homo sedutus che vive metà della vita in scatole calde e moventi, combatte ogni giorno per tornare a casa. La tua freccia da tempo è una luce arancione illuminata e intermittente che dice le tue intenzioni alla comunità, segnala ai tuoi omologhi ciò che stai per fare, evita l’ignoranza dello scontro e della tragedia. Homo sedutus, tu ‘sta freccia, però, non la usi mai, diciamocelo. Ami l’imprevisto, fai l’eroe solitario y final che s’impone e trionfa, o il filosofo distratto da speculazioni ardite e telefonate di lungo corso, o l’indifferente impenitente, impermeabile, dietro il parabrezza, ai visi dei tuoi compagni di strada. Sfidi le regole ancestrali del significato della freccia, quella che salvava un’intera tribù. E sfidi le regole contemporanee dello scopo della freccia. Fai uno sforzo, allunga il tuo braccino, premi il tuo ditino sulla leva, ascolta il salvifico ticchettio, guarda la lucina verde sul cruscotto. Questo è il libero arbitrio dentro la folla dei viventi, mostra che sai dove vai, esprimiti, prova la gioia di far sapere che sei rispettoso e segui le regole senza sentirti sminuito. Che ti insegni, la piccola freccia, a diventare un uomo migliore.