La Fisarmonica

Qualche volta Emilio si chiedeva il perché di tanto scrivere. Le risposte, a dire il vero, non mancavano: lucide, precise, anche spietate, delle volte. Anche accomodanti, se non gli andava di farsi troppo male. Perché non hai nient’altro da fare, diceva l’Emilio spietato. Perché lo sai fare bene, subito correggeva l’Emilio misericordioso. Fatto sta che, dopo questi battibecchi interiori, qualcosa sempre scattava ed eccolo lì alla tastiera a battere, a riempire di caratteri quel foglio che non restava mai bianco per più di un minuto o due. Seguendo l’istinto.

Emilio aveva scritto molte volte di suo padre, inghiottito nel nulla ormai da molti secoli. La sua immagine non era più quella di un uomo, di una persona ma un affresco. Un collage di tante situazioni in cui da bambino, poi da ragazzo, erano stati insieme, fino al giorno terribile, irreale, in cui il padre era diventato un ricordo.

Ma Emilio non aveva quasi mai scritto niente di sua madre. Solo il pensiero di questa lacuna accendeva in lui un senso di colpa immediato, subito respinto con sdegno col risultato che tutto tornava come prima. “Non è ancora il momento giusto”, pensava. “Quando arriverà, me ne accorgerò di sicuro”.

I percorsi della memoria sono strani, tortuosi. A volte basta un niente: Un pensiero, un odore. Una musica. Una banale sequenza di note, o addirittura solo il suono di uno strumento così fuori moda che non lo senti da tanti anni.

In televisione c’era un tizio anziano che, seduto su un panchetto, tirava fuori da un aggeggio più grande di lui melodie tristi ma meravigliose, canzoni che sembravano eseguite da un’intera orchestra: una fisarmonica.

“Mamma la suonava”, pensò Emilio all’improvviso, senza avere il tempo di elaborare pensieri di disturbo.

Eccola lì, anche lei più piccola dello strumento, che muove le dita con perizia sulla tastiera e su quei mille tastini che si manovrano con l’altra mano, regalando alla musica quel senso di pienezza che nessuna chitarra, nemmeno il pianoforte, sanno creare.

Chissà quale istinto incontenibile la spingeva a tirar giù dal vecchio armadio la fisarmonica, estrarla dalla custodia impolverata e mettersi a suonare. Lo faceva certamente per se stessa, non per dare spettacolo. Forse lo aveva fatto durante la guerra, per tenere su il morale dei bambini spaventati dalle sirene che annunciavano l’arrivo dei bombardieri, ma adesso no. Era l’istinto che la spingeva, lo stesso che le imponeva, molto più spesso, di mettersi davanti al cavalletto e iniziare un nuovo quadro.

In silenzio.

Come me davanti al foglio bianco.

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