La gatta con gli stivali

Lo stivaletto estivo è abbinabile a ogni umore, a ogni orticaria, a ogni reflusso esofageo da stress. Dieci centimetri d’instabilità e ogni storia precaria, ogni avventura in divenire, ogni investimento su sexbond, sembra accettabile. Perché il nostro equilibrio da funambole ci rende possibiliste, magnanime, fiduciose nelle remote possibilità che può offrirci la vita, dimenticandoci delle spine nei fianchi.
Lo stivaletto ci avvolge come una guaina e ci inguaia nella nostra presuntuosa camminata da modella, anche se l’unica cosa che abbiamo mai modellato è il Pongo, ed eravamo bambine. Lo stivaletto ci rende giovani, senza più capo né pensieri, a parte uno, che svetta chiaro e ossessivo: se cadi, ti spacchi le caviglie. Un magico pensiero d’amore per la nostra incolumità fisica, messa a repentaglio per vanità di pasturazione nell’acquario di piranha o pesci palla.
Una volta sedute, ricordarsi l’accavallamento delle gambe con messa in parallelo dei magici stivaletti, e il sorriso compiaciuto, che il pesce catturato crederà a lui rivolto mentre è solo un sorriso di sollievo dalle vesciche doloranti.
Se invece, per sbaglio, avete pescato uno squalo, il dolore causato dai tacchi sarà nulla confronto a quello dei denti che lui vi conficcherà nel cuore… Ma quella è un’altra scarpa.

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