Alëša era un uomo.
Del giovane che era stato sopravviveva nello sguardo un guizzo che minacciava di spegnersi, come la fiammella posta davanti all’icona, dove ogni tanto il fiato gelido di febbraio soffiava appiattendosi sotto le imposte chiuse.
Cosa avrebbe fatto Alëša, il più giovane dei fratelli Karamazov? Nel nuovo romanzo si sarebbe forse innamorato? Avrebbe perso la fede per poi riconquistarla? E a che prezzo?
Nel letto della malattia lo scrittore sentiva sul petto un formicolio a ogni più lento movimento della testa. La barba si allungava sfilacciandosi e pizzicava la pelle. Chiese a sua moglie Anna il vangelo che lo aveva accompagnato nel castigo di Tobolsk. Lo aprì a fatica e lesse: ma Giovanni lo trattenne e disse: «Io devo essere battezzato da te e non tu da me». Ma Gesù gli rispose: «Non trattenermi».
Richiuse il libro con un rantolo sordo e seppe che Alëša non sarebbe mai diventato un uomo. Lo avrebbe abbandonato nella giovinezza di una storia ormai conclusa. Non c’era più tempo.
«Non trattenermi» disse a sua moglie.
Dopo qualche giorno Fëdor Michajlovič Dostoevskij spirò.*
*La morte di Fëdor Michajlovič Dostoevskij ha datazione incerta tra il 27 Gennaio e il 9 Febbraio 1881