LA GOCCIA DEL GIOLGARA

A volte non accade nulla prima, e l’inizio è solo l’inizio. Così, il nuovo nasce per volontà di venire alla luce, emergere e diventare parte di un progetto più grande a cui si sente chiamato. E’ successo a una goccia d’acqua.
Piccola e testarda: un agglomerato di molecole determinate a stillare dalla roccia.
La parete del monte Pasubio quel giorno di metà primavera era fredda e avvolta dal buio che precede l’alba. La goccia non si fece intimidire né dal gelo né dalle tenebre e si affacciò sul mondo.
A Est il sole fremeva per sorgere e il tappeto di nubi che si stendeva all’orizzonte mostrava già qualche fessura qua e là, pronto per essere squarciato dai primi raggi di un nuovo giorno.
La vista dalla cima del monte, a oltre duemila metri di altezza sul mare, era magica. Uno spettacolo affascinante persino per una piccola goccia, nuova all’esistenza. Mentre il cielo si tingeva di toni cangianti sopra di lei, si domandava cosa sarebbe accaduto. Certo non era destinata a restare ferma, aggrappata alla Cima Palon per il resto della vita. Qualcosa sarebbe accaduto.
E avvenne. Il vento prese a soffiare più forte, mostrando la propria prepotenza aggredendo la montagna, a tratti anche con raffiche brevi. La goccia capì che era tempo di muoversi, seguire l’istinto e lasciarsi trascinare lungo il crinale.
Sentiva scorrere sotto di sé le pendici della montagna: la pietra dolomitica si articolava in picchi e guglie, creando forre e gole, in cui era facile precipitare e perdersi. La goccia conobbe per la prima volta la paura, ma non se ne lasciò sopraffare e proseguì il cammino.
C’era qualcosa, infatti, tra le ferite della terra su cui passava, che non aveva niente a che fare con la mano della natura. I massi raccontavano la storia dell’uomo, sembravano ridare vita e voce a episodi passati fatti di dolore, sacrifici, passione e sangue.
Incuneandosi qua e là tra le rocce, la goccia si accorse che ovunque la superficie era martoriata da crateri creati da bombe; tra i massi spuntavano i resti di lunghi camminamenti testimoni della guerra combattuta in trincea, su cui si affacciavano di tanto in tanto anche gallerie e ricoveri fatiscenti.
Mentre continuava la discesa, la goccia si rese conto di non essere in un luogo normale. C’era qualcosa di ieratico e drammatico nella polvere che lasciava dietro di sé, percorrendo il crinale a perdifiato, come tante altre gocce prima di lei avevano fatto. La zona Sacra del Pasubio continuava a emanare, a distanza di un secolo, deferenza e rispetto. Era proprio lì, che in giorni così, si era combattuto durante la Prima Guerra Mondiale; ed era lì che passava la prima linea: lungo il pendio, che si era intriso di sangue, lacrime e preghiere custodite ancora dalle rocce.

Il torrente Leogra o Giolgara
Il torrente Leogra o Giolgara

Acqua significa vita, lo sapeva non perché glielo avessero spiegato, ma perché lo aveva scritto dentro. Ciononostante, tra i monti, tra le pianure, per l’acqua si era morti. Per una linea di confine che correva lungo il greto di un fiume, il Brenta, il Piave come l’Isonzo, centinaia di migliaia di uomini avevano dato la vita. La goccia, rallentò la corsa, indugiando sul terreno che a poco a poco si faceva meno roccioso e più morbido sotto di lei.
Sentiva di dover fare qualcosa, di dare un contributo, una testimonianza. E allora decise: si sarebbe unita al corso di un grande fiume e lì si sarebbe mischiata alle proprie sorelle, portando con sé il suo carico di storia. Poi avrebbe seguito la corrente, fin dove l’avrebbe portata. Magari fino al mare, e poi, da lì chissà dove altro ancora. Senza limiti e senza lasciarsi distogliere dalla sua missione.
Con il nuovo proposito, raggiunse Pian delle Fugazze, che incrociava la Strada degli Eroi, dove erano state erette alcune lapidi in ricordo di quindici soldati decorati con la Medaglia D’Oro: un segno che gli uomini tributavano ad altri uomini per onorare la loro morte.
Proprio in quel crocevia di storia, la goccia incontrò il suo destino. Rotolando sul pianoro, con un salto si trovò nell’alveo di un torrente. Si chiamava Leogra, ma tra tutti gli abitanti della zona era conosciuto con il nome di Giolgara. In un attimo si trovò nel pieno del corso, prendendo parte a una nuova discesa accanto a tante altre gocce. Adesso, ad attendere tutte, c’era la pianura, poco più sotto.
E lì altri torrenti si sarebbero uniti a quello e così altre milioni gocce, che ad ogni metro si sarebbero moltiplicate, sempre e all’infinito. Attraversarono paesi come Valli del Pasubio e Torrebelvicino, dove si congiunsero con nuovi affluenti, che accorrevano da ogni vallata: la val Sterpa, la val Canale, la val di Sagno, la val Maso, la val Malunga.
E la goccia pensò che non si sarebbe mai fermata, che non l’avrebbero mai fermata. A ogni ponte, dislivello, chiusa che superava si sentiva più forte e sicura. Il suo destino si stava compiendo, perché era il suo corso, la sua storia. Una storia nuova, diversa, di cui faceva parte fino in fondo, che contribuiva a creare istante dopo istante, insieme a tutte le altre.
Ognuna diversa, eppure uguale per essenza e vocazione. E mentre i torrenti aumentavano di portata e diventavano fiumi, lei continuava a sognare il momento in cui sarebbe arrivata finalmente al mare, lei, la goccia del Giolgara, che all’immensità del mare portava in dote l’alba di Cima Palon e il sacrificio perpetuo dei suoi soldati.

Testo tratto da “Pensieri sull’acqua…“, antologia di racconti. Il premio letterario “Giacomo Zanella”, 13esima edizione. Editrice Veneta, Vicenza 2018.

Arco alle porte del Pasubio
Arco alle porte del Pasubio

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