La Gorgone

Lo scultore non riusciva a scolpire il volto della Gorgone. La visione violenta di un viso urlante lo perseguitava da mesi, ormai. Da mesi il suo sentire accendeva le mani all’azione, le spalancava dentro l’attesa della nitidezza di quel volto, ancora impreciso, obnubilato da un fuoco indistricabile nonostante i tentativi del giovane scultore di infliggerlo nella pietra come l’ultimo grido della vita che sta per lasciare l’opera all’immortalità. L’inedia che lo prendeva dopo ciascuna volta che sfidava la Gorgone lo logorava e il suo corpo con lui, deperiva a vista d’occhio.. L’incompletezza di quella perfezione lo uccideva, e la visione tornava ancora e ancora: sempre cupamente indistricabile quanto febbrilmente pretendeva di farsi nitida.
Fuoriuscì dal Tempio irato contro gli dèi e la Natura che schiaccia gli esseri: deciso a porre fine ai suoi giorni al posto della statua che non sapeva finire; ma un grido lo raggiunse. La sorella di lui, la Sacerdotessa di Apollo, era stata violata nel sacrario del dio. La terribile corsa delle sue gambe smunte sorpassò gli accoliti ammassati, dilaniò la folla con una forza tale quale fiume in piena. Il violentatore era un ragazzo di vent’anni in catene, dal viso ammaliante: il primo dei giovinetti consacrati ad Adone.
Nessuno aveva riferito la verità allo scultore ma egli sapeva che la sorella si era gettata contro gli scogli. La mano di lui armata di coltello non esitò a trafiggere il corpo dell’incatenato più e più volte.
E ogni volta che colpiva l’odio per quella bellezza, la bellezza del giovane, la bellezza che non sapeva raggiungere sovrastava la brama di vendetta.
Poi, quando infine si decise e affissò gli occhi in quelli del giovane, lo scultore scorse con vivida ferocia il volto della Gorgone, quel volto che non gli aveva mai dato pace.
La Gorgone ultimata fu la scultura più sontuosa della Grecia arcaica.

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