Altopiano del nord-est, inverno 1917, un avamposto di soldati italiani in trincea. Tutt’intorno cumuli di neve, più di quattro metri, recita la voce fuori campo. Abeti imbiancati che sembrano alberi di Natale, larici spogli. Un’enorme luna che veglia indifferente.
Dentro il rifugio poche decine di uomini, smagriti e sfiniti dal freddo, dagli stenti e dalla febbre che ha contagiato alcuni di loro. Gli ufficiali: il capitano, il maggiore, il sergente cappellano e il giovane tenente, che alla fine prenderà il comando, sono disorientati quanto i loro uomini. Obbligati a eseguire ordini che provengono dall’alto, da chi, al caldo e al riparo, ha deciso per loro. Sanno che quel drappello di disgraziati e loro stessi, saranno presto carne da macello. A poca distanza c’è la postazione austriaca pronta a bombardare.
Nell’attesa sfibrante che accada quel qualcosa che tutti temono viene distribuito il rancio: un po’ di brodaglia nella gavetta di latta, un tozzo di pane raffermo. Più del cibo gli uomini aspettano le lettere da casa, l’unico filo che li leghi ancora alla vita, fuori da quella buca. Intorno solo silenzio, rotto a tratti dal fischio del vento e dai campanelli appesi a mo’ di allarme sui cavalli di frisia. Parlano sotto voce i soldati, sanno che il nemico è vicino, si scambiano poche parole, la cadenza è quella dolce, delle vallate venete e trentine. Uno, steso in branda, appallottola mollica di pane per il topolino che gli viene a mangiare in mano, l’altro guarda la foto dei figli lontani. A turno scrutano fuori dalle feritoie e aspettano.
Tra Buzzati, Lussu e Rigoni Stern, Ermanno Olmi confeziona il suo ultimo film. Un piccolo capolavoro di poco più di un’ora. Con una fotografia da fiaba nelle riprese esterne: il manto bianco che ricopre tutto, i profili dei monti contro il cielo a tratti stellato, a volte cupo. All’interno la cinepresa si sofferma sui poveri oggetti: le gavette, i cucchiai, gli elmetti e i visi scavati degli uomini, ritratti come nature morte. Dopo la neve spunterà di nuovo l’erba, dice nel finale un soldato.
Contro l’insensatezza delle guerre e con il calore che ha sempre riservato alle storie degli ultimi, Olmi racconta il primo conflitto mondiale. “torneranno i prati“, volutamente nel titolo con la “t” minuscola, è un film scarno e toccante, difficile da dimenticare.