La leggenda di Proto e la rocca spaccata

La vide verso l’imbrunire, rintanata dietro una macchia. Proto, abituato alla caccia, si avvicinò con cautela, ormai l’oscurità avanzava e, anche se fosse stata una preda appetibile, doveva lasciarla andare. Sembrava bella grande, però, Ma’ De Jana sarebbe stata contenta, potevano affumicare carne per gran parte dell’inverno. Peccato, si disse, e tornò alla grotta che fungeva da loro abitazione. La montagna era bucata, una miriade di buchi, tutti abitati. Dalle Janas. Nessuno aveva il coraggio di avventurarsi lassù, tranne se avevano bisogno di erbe mediche o di scacciare i demoni, nessuno, nel paese di Bar-at. In paese mai l’avevano voluto, Proto, perché il suo colore era strano, colore della luna e i suoi occhi facevano spavento, del colore dell’erba l’uno, l’altro colore del cielo e appena nato lo avevano gettato dalla rupe. È figlio del demone che ha preso Ma’ Flore, la sua pancia ha dato questo mostro, dicevano. Ma’ De Jana lo raccolse e gli diede il latte delle sue mammelle, l’acqua di miele e l’erba della forza. Sapeva che non poteva tenerlo, solo le femmine potevano stare nelle domo de Jana, ma lui restò. Ma’ de Jana aveva un modo tutto suo di fare quello che voleva a dispetto di tutto, e anche questa volta lo fece. Non con la forza, no; non con la voce, anche se la sua era armoniosa e componeva i versi migliori, no, solo lo sguardo bastava. Il suo sguardo era capace di cambiare il bello in brutto e il brutto in bello. Ma’ lo tenne con sè, e lui imparò a cacciare e fare carne per l’inverno. Meglio non andare al paese però, dimoniu, iscur’a ttie gli dicevano mentre lo bastonavano. La mattina seguente, prima che l’ultima stella sparisse, s’incamminò di nuovo verso la macchia e ancora era lì, la bestia. Aveva un colore strano, come di pietra focaia e un solo enorme occhio che copriva tutto il volto, non aveva naso ma un canna lunga che si conficcava nel ventre, altre canne spuntavano dal dorso e andavano a finire nella testa, sembravano tante corna ma non come i mufloni, queste corna andavano dentro, dentro la bestia. La vide muoversi e mugugnare, le zampe si contorcevano come uno stercorario e il verso faceva: El…El. Proto non sa cosa lo spinse a non usare il coltello o le frecce, ricorda che pensò a Ma’ De Jana e pensò che quella bestia poteva essere salvata. La afferrò da dietro, con cautela e la trascinò vicino a uno spuntone di roccia, sotto un leccio che la nascondeva alla vista poi l’indomani, e quello dopo ancora, andò a portarle un po’ di acqua di miele e le erbe della forza, quelle che Ma’ De Jana gli dava quando era piccolo. La belva si riprendeva, di questo si accorse quando la trovò seduta, ma quel verso continuava: El…El.

 

Pastore vicino al fuoco di Antonio Mura
Pastore vicino al fuoco di Antonio Mura

 

Quando la trovò dritta, dritta come un uomo allora sì che si spaventò. Che bestia è che sta dritta come un uomo? Sentiva i vecchi che parlavano di bestie sconosciute, che sputavano fuoco dalle zanne che avevano sul torso e uccidevano un uomo solo spruzzando veleno da una sacca nella schiena, ma forse erano solo leggende che si dicono ai bambini per non farli allontanare da Bar-at, neppure per incontrarsi con gli uomini di là dal mare di Cabr che pure quelli sono strani e hanno il colore delle notti senza luna. Adesso, la bestia che stava dritta faceva un altro verso: Ten…Ten…Go…Go. Lui, Proto le fece cenno di stare giù che se la vedevano in paese organizzavano una battuta di caccia grossa, con i tamburi, i molossi, le lance e i bastoni, cosa ti ho salvato a fare, bestia, pensava. Troppo tardi: ché Arrori il capraro aveva notato dei traffici strani vicino alla roccia, fra i lecci, e lo aveva detto ai vecchi del paese che, dopo un conciliabolo, decisero di partire. Si organizzarono le squadre di picchiatori e di bastonatori e gli altri armati di frecce e lance, si spalmarono tutti di grasso per non puzzare di uomo e si pitturarono la faccia con il fumo, si sputarono addosso in segno di buona fortuna e si diressero dove aveva detto Arrori il capraro.

Sguardo di Donna di Carmelo Floris
Sguardo di Donna di Carmelo Floris

 

Ma’ De Jana fiutava subito i guai, di giorno e di notte e quella notte il sogno le aveva detto di avvertire Proto: Vai dalla bestia, Proto, che te l’ammazzano domani. Andò, Proto e, quando arrivò presso il leccio, le grida dei cacciatori si sentivano già, anche se lui sentiva più forti i colpi sordi del suo cuore, per lo sforzo della corsa e la tensione. Pensava, Proto, che niente poteva fare per la bestia, era tardi ormai, dove l’avrebbe portata? Neanche sopra il monte, anche facendo la via delle capre. Solo Ma’ De Jana con la sua magia avrebbe potuto. Lei gli aveva dato una sabbia finissima da spargere a cerchio intorno al nascondiglio, era un modo per diventare invisibili agli uomini malvagi, diceva Ma’. Eccola, la bestia, che si girò verso di lui appena lo sentì, era dritta e roteava le appendici dorsali, adesso faceva un altro verso, forse per la paura: Cam…Cam. Era tardi, si disse Proto, era troppo tardi e forse la magia non sarebbe bastata. Le urla dei battitori e dei picchiatori si avvicinavano sempre più, e lui istintivamente si mise davanti alla bestia con le braccia spalancate, come a difenderla col suo corpo. Difendere una creatura brutta e negletta come lui era stato e, come fece Ma’ De Jana con lui, poterla salvare. I cacciatori li accerchiarono, lui e la bestia, e Proto vedeva decine di visi tinti di brace che gli ringhiavano contro con gli occhi arrossati e la voglia di spargere il sangue, suo o della bestia poco importava, erano tesi nello sforzo di andare all’attacco.

 

Pastore seduto di Mario Delitala
Pastore seduto di Mario Delitala

 

Ormai da decine e centinaia di anni intorno al fuoco nelle feste del paese di Bar-at si narra una leggenda: quella dei cento uomini partiti per la caccia grossa che tornarono piangenti e tremanti perché avevano visto un prodigio. Nel bosco dei lecci, presso lo spuntone della roccia, davanti a una bestia brutta come i lampi e i tuoni e al demone colore della luna, sentirono un suono come uno stormo di mille pipistrelli e la roccia, come fosse burro, si spaccò in due. Il demone e la bestia dalle cento corna erano scomparsi per sempre, solo ogni tanto vengono in sogno ad avvertire i moribondi che è ora. La roccia spaccata, nel paese di Bar-at la chiamano Sa rocca sconzada. Ogni anno, uomini donne e bambini si recano in pellegrinaggio, portano cacio fermentato nei budelli di capra, gli ultimi fichi e le prime zucche dell’anno e, fra canti corali e balli in tondo, pregano che il demone e la bestia dalle cento corna arrivino molto ma molto tardi ad avvisarli che è ora.

 

Domus de janas
Domus de janas

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