La decisione della madre di Simenon di proporsi quale affittacamere ai giovani giunti a Liegi per frequentare l’Università negli anni immediatamente antecedenti la prima guerra mondiale, una scelta perseguita con caparbietà inesausta, contro tutto e tutti, risparmiando ogni centesimo, facendo la cresta su ogni spesa per potersi permettere una casa più grande, con un maggior numero di stanze da destinare agli ospiti, segnò profondamente la vita dello scrittore. Nacque da qui quel rancore nei suoi confronti, peraltro ampiamente ricambiato, che giungerà all’impietosa rappresentazione del suo rapporto con il secondo marito ne “Il gatto”, del 1966, alla “riconciliazione” post mortem della “Lettera a mia madre”, nel 1974. Nacque dall’accusa di avere distrutto l’equilibrio famigliare in nome del guadagno, a causa di quel terrore della povertà, più precisamente, che a detta del figlio ne condizionò l’intera esistenza. Dall’accusa di avere angustiato in tal modo gli ultimi anni di vita del padre, figura che viceversa Simenon sempre idealizzerà, giungendo a privarlo persino della poltrona di vimini su cui amava accomodarsi la sera per leggere il giornale fumando la pipa, il suo angolino di quiete domestica, di modesta felicità.
Hanno origine anche da ciò probabilmente, pur con le debite differenze, quelle figure femminili forti e spietate, ferocemente abbarbicate alla “roba”, disposte ad ogni efferatezza per difendere i propri possessi, che caratterizzeranno alcuni dei capolavori simenoniani.
Ma quell’invasione ebbe anche un altro effetto di lunga durata: allargò la prospettiva del futuro scrittore oltre i confini di Liegi, stimolò la sua curiosità, facendogli intravedere un mondo più ampio attraverso quelle figure di studenti in gran parte originari dell’Europa dell’Est, pur molto diversi fra loro per indole e abitudini, molto diversi finanche negli odori, come non mancherà di sottolineare la padrona di casa nel romanzo di cui vorrei oggi occuparmi (gli odori hanno sempre grande importanza in Simenon, nell’evocazione degli ambienti, si pensi alla capacità di caratterizzare, di farci vivere tramite essi, quella cucina in cui si svolge gran parte del dramma, ma gli odori paiono a volte condizionare e addirittura determinare i rapporti fra i personaggi), personaggi molto diversi per estrazione sociale, tutti però appartenenti, vittime o favoriti dalla sorte, ai “Popoli che hanno fame”, testo del 1934 (ora in “Europa 33”) opportunamente citato in epigrafe.
Saranno al centro, tali figure, delle vicende de “Il pensionante”, proprio del 1933. Ritorneranno, nel 1953, appunto in “Delitto impunito”, recentemente pubblicato da Adelphi nella traduzione di Simona Mambrini, come di consueto ottima.
Paiono proprio non essere passati invano i vent’anni che separano i due romanzi. Analoga è l’ambientazione, appunto una pensione a conduzione familiare, analoghi, per gran parte, i personaggi, studenti universitari provenienti dall’Europa orientale, addirittura identico il nome del protagonista, ma cambiano i ruoli, si ribalta la prospettiva, che colloca al centro il punto di vista dell’ospite più miserevole, quell’ebreo di Vilnius che si vede sottrarre da un intruso privilegiato il proprio “angolino”, quel cantuccio in cui si illudeva di aver finalmente trovato quel po’ di calore cui soprattutto anelava. Ancor più significativo è però il fatto che in “Delitto impunito” viene completamente elisa quella scena madre di lacrime e disperazione che costituiva il punto di svolta del racconto ne “Il pensionante”. Al suo posto il lento, progressivo approfondirsi dello scavo psicologico, in un crescendo tragico tutto interiore che non ha bisogno di colpi di scena, se non ridotti a poche righe, come sempre nel miglior Simenon.
Non è rimasto senza conseguenze anche il trasferimento in America che nel frattempo ha avuto luogo, quell’America ove viene ambientata la seconda parte del romanzo, un’America che Simenon dimostra di aver imparato a conoscere anche e soprattutto nei suoi aspetti meno spettacolari, ignoti a gran parte dei turisti. E, per l’ennesima volta, non si può non restare sbalorditi dalla sua capacità di rendere egualmente credibili, e narrativamente efficaci, ambientazioni così diverse.
#recensionisecondoluca